 |
LE
TORRI DEL SOGNO
IL GRANITO DEI 6000 METRI
SOSBUN E BUBLIMOTIN: A CINQUE ANNI DI DISTANZA PAOLO VITALI E SONJA
BRAMBATI TORNANO SULLE ACCESSIBILI E MAGNIFICHE TORRI DEL PAKISTAN
ALP n°116 - Dicembre 1994 - pag.20-24
|
 |
 |
|
1988. SOSBUN
VALLEY
Sassi,
sassi, e ancora sassi....sei ore di cammino in falsopiano su
un'interminabile
morena. Con queste poche parole penso si possa esprimere
l'avvicinamento
alla Sosbun Spire dal campo base. In lontananza emerge dapprima la
Sosbun
Brakk (6413 m), poi, entrati nel ramo sud dei Sosbun Glacier, si
intravedono
da una valle laterale il 6300 m del Hikmul Peak; oltre questo punto le
Sosbun Spires chiudono la valle e limitano la vista dei colossi del
Karakorum.
Questo accresce la nostra "brama"di salire la guglia più' elegante
del circolo; la Sosbun Spire I, per poter ammirare queste mitiche
montagne
da una posizione privilegiata. Quando siamo installati sotto il
pilastro,
il nostro morale comincia finalmente a riprendersi; anche la parete
della
Sosbun Spire che, bagnata e semi nascosta da pioggia e nebbia, ci aveva
fatto una brutta impressione, si presenta ora bella e slanciata, di un
bel granito grigio. La cima è segnata sulle cartine per 5956 m,
ma secondo il nostro altimetro risulta qualche centinaio di metri in
meno;
ma a noi poco importa, quello che conta è la qualità della
salita. I primi a notale queste guglie erano stati i polacchi, che
avevano
come obiettivo proprio la Spire I, rinunciando poi per il cattivo
tempo.
Una notizia di poche righe su una rivista riportava il loro tentativo,
con l'importante dettaglio che in Pakistan fino alla quota di 6000
metri
ci si può muovere senza burocrazia alcuna; era bastato per accendere
la nostra immaginazione.
1993:
HUNZA VALLEY
Per
il Bublimotin la scelta era stata ancora più semplice. La foto era
già stata pubblicata da Mountain e su di un libro di Doug Scott,
tanto che mi risultava difficile credere che non fosse ancora stata
salita
per quella fantastica parete. Solo l'americano Beyer mi risultava
l'avesse
tentata, arrivando fino a poche decine di metri dalla cima, comunque la
parete sembrava offrire sicuramente molte linee possibili. La cima era
invece già stata raggiunta da Patrick Cordier per la cresta nordest,
e per la stessa via anche da una cordata inglese, che era giunta
però al colle del più accessibile versante nord. L'avvicinamento
al campo base tecnicamente semplice e una superficiale analisi di foto
e cartine del Bublimotin, ci indusse a credere che un veloce
attraversamento
di ghiacciaio ci avrebbe facilmente portato alla base della bella
parete,
e che il brutto canale di cui parlava Beyer nel suo racconto. e Doug
Scott
su Himalayan Climber, fosse quello che portava al colle con l'Hunza
Peak;
così il nostro materiale da ghiaccio venne drasticamente ridotto.
Purtroppo risalendo l'Ultar Nala capimmo subito di aver preso una
grossa
cantonata: il canale che separava il nostro base dalla parete appariva
inequivocabilmente quello di Bayer: lungo più di 1000 metri e
sottoposto
a notevoli pericoli oggettivi. Senza corde fisse e con pochi chiodi da
ghiaccio non sarebbe stato uno scherzo raggiungere la parete.
1988:
SOSBUN I, PRIMA
SALITA
Siamo
finalmente pronti alla base del pilastro della Sosbun I e l'iniziale
incertezza
per le brutte condizioni meteo lascia subito il posto all'entusiasmo e
alla voglia di arrampicare. Con il sole il pilastro si rivela in tutta
la sua bellezza, e realizziamo di aver trovato esattamente quello che
cercavamo:
una bella linea, tecnicamente impegnativa, con pochi pericoli
oggettivi,
in quota, immersa nell'ambiente del Karakorum. Il nostro campo avanzato
è veramente ridotto
all'osso: siamo in cinque in una tendina a cupola, normalmente adatta
a tre persone; il secondo giorno, per poter almeno distenderci,
proviamo
a montare la tendina da bivacco attaccata a quella a cupola. Il
risultato
è un'architettura un po'sbilenca, ma sufficiente per decongestionare
il nostro alloggio di almeno una persona. In queste condizioni il
bivacco
in parete ci sembrerà una vacanza. In due mezze giornate, con nevicate
pomeridiane, saliamo le prime lunghezze, fissando le tre corde
dinamiche
e duecento metri di cordino statico in kevlar da cinque millimetri. Il
granito è ottimo, compatto, un po' liscio, con
le fessure quasi sempre cieche e quindi raramente chiodabili; per
fortuna
la nostra linea passa inizialmente per placche inclinate, dove
riusciamo
a progredire con qualche tiro di corda che ricorda l'aderenza della Val
di Mello: Valuteremo alcuni passaggi 6/6+, cercando di non farci
prendere
da facili sopravvalutazioni; sicuramente anche la quota influisce sulle
nostre prestazioni, aumentando l'impegno. La valutazione della
difficoltà
deve rimanere assolutamente indipendente da altri fattori, quali la
quota
e la distanza tra le protezioni; chiaramente un tratto di sesto a
seimila
metri protetto da un chiodo lontano esige impegno e capacità ben
diverse che non un 6a in falesia con lo spit al piede, ma non per
questo
deve diventare sulla carta un ottavo grado. Lo spigolo verticale, posto
un poco alla nostra destra, aveva impegnato i polacchi che ci avevano
preceduto
con delicata arrampicata artificiale, e la loro esperienza è stata preziosa
per scegliere la nostra linea, apparentemente più arrampicabile.
Con tempismo eccezionale (leggi: una fortuna sfacciata) il nostro terzo
giorno di permanenza sul Sosbun Glacier è salutato da un cielo limpido
e terso; il sole splende finalmente senza ostacolo alcuno su tutta la
catena
del Karakorum. Avremmo volentieri riposato per una giornata prima del
tentativo
decisivo, ma l'occasione è perfetta: cogli l'attimo fuggente. Purtroppo
però l'attimo sfugge a Sonja, che, nei sali e scendi dei giorni
precedenti lungo le corde fisse, poco si è riguardata dagli sbalzi
termici e ora è bloccata nel sacco a pelo da mal di gola e
raffreddore. Con apprensione mi accingo a lasciarla sola alla tendina,
per i due o tre giorni che dedicheremo alla parete. Il timore più
grosso è rappresentato da un'allegra famigliola di orsi bruni che
abbiamo incrociato nel tragitto verso la parete; erano diretti al
ghiacciaio
laterale, ma non si sa mai......Di sicuro dormirà con coltello e
piccozza a portata di mano! Il
diario di parete non è certo un capitolo dell'alpinismo epico,
destinato
a passare alla storia: roccia solida, clima ottimale, nessuna scarica
di
sassi o ghiaccio; direi quasi una salita rilassante e divertente. La
situazione
più avventurosa era la risalita con i jumar di quello spaghetto
da cinque millimetri sui primi duecento metri. Si tratteneva il fiato
il
più possibile, quasi ad alleggerire il carico sulla corda, ma i
momenti più emozionanti li riservava un tratto obliquo, dove i buon
vecchi jumar originali erano gli unici a mantenere il cordino nella
sede,
con gli attrezzi più moderni ci si trovava spesso ad eseguire delle
manovre che, come guida alpina avrei dovuto rifiutare. Per il resto
dovrei
descrivere una bella arrampicata su placche in principio, in diedri e
fessure
poi; scarpette ai piedi e magnesite sui passaggi più duri: situazioni
e sensazioni comuni alle salite alpine, arricchite dall'ambiente
grandioso
del Karakorum. Anche noi però abbiamo vissuto le nostre brevi ore
eroiche quando, il giorno seguente, dopo aver bivaccato a metà parete,
prendiamo la decisione di arrampicare il più veloce possibile,
abbandonando
tutto il materiale da bivacco; ci siamo poi ritrovati nelle prime ore
del
pomeriggio immersi in una densa nuvolaglia con successiva nevicata. Per
nostra fortuna i passi più duri li avevamo già alle spalle,
e con qualche acrobazia sul bagnato in scarpette lisce, riuscivamo a
raggiungere
la cima prima di sera. Una grandissima soddisfazione, con un po' di
rammarico
per non poter guardarci intorno.
1993:
BUBLIMOTIN
TUTTO DA FARE
Estate
'93. Stesso stile, stessa brama, stesso inizio......purtroppo però
diversa conclusione. Mentre ci avviciniamo al nostro campo base
prendiamo
la prima delusione: ci rendiamo conto della lunghezza e della
pericolosità
del canale che porta alla parete. Poi troviamo un buon accesso al
canale,
pur con una corda doppia e qualche tiro di quarto grado, che complicano
le operazioni e ci allungano i tempi: senza grossi pericoli, ne
percorriamo
con facilità la prima metà. E' il momento dell'entusiasmo
e della voglia di arrivare alla parete il più in fretta possibile.
Purtroppo il tempo è meno clemente che alla Sosbun: tutti i giorni
piove o nevica, concedendoci ben poche possibilità, solo per due
mezze giornate siamo graziati dai raggi solari, insufficienti per
salire
una parete con quelle difficoltà a quella quota. Il nostro progetto
sarebbe quello di portare materiale e cibo per una settimana di
autosufficienza
alla base, quindi stabilirci in parete con una sorta di capsule-style
(tecnica
di salita che implica di rimanere in parete per tutta la durata
dell'ascensione,
bivaccando sulle cenge con tenda da bivacco o brandine da parete,
utilizzando
un numero molto ridotto di corde fisse, che permettano di tornare
all'ultimo
punto da bivacco finché non se ne installi uno nuovo e vi si sposti
quindi il materiale). Le poche corde a nostra disposizione le abbiamo
fissate
per accedere al canale, ma le recupereremo all'ultimo viaggio
portandole
in parete. La seconda metà del canale ci riserva però delle
sgradite sorprese. Innanzitutto una grossa seraccata, non visibile dal
basso, che pende sulla nostra testa come una spada di Damocle; poi un
ghiaccio
nero e vetrato della peggior qualità, dove la nostra attrezzatura
leggera da ghiaccio si rivela assai poco adatta. Se saliamo dopo una
nevicata
la neve ci slavina addosso dal canale e dalle ripide pareti che lo
delimitano,
mentre quando esce il sole e il canale ha già scaricato, i sassi
bloccati nel ghiaccio vivo si rilasciano e ci bersagliano senza tregua.
In una di queste "risalite-flipper", ingannati per l'ennesima volta dal
tempo, valutiamo attentamente la nostra situazione: senza altre corde
da
poter impegnare come fisse nel canale, dovremmo spendere altri giorni
nel
sali e scendo di approvvigionamento, aumentando notevolmente i pericoli
oggettivi a cui saremmo
esposti e riducendo ulteriormente il poter dedicare alla vera salita.
Questo non basterebbe certo per un obiettivo così tecnico. Per la
prima volta prendiamo la decisione di rinunciare alla salita con
qualche
giorno ancora a disposizione.
QUESTA
ESTATE VOGLIO ANDARE
AL MARE
Ora,
forse, abbiamo anche trovato un accesso migliore alla parete, ma ci
sarà
qualcuno disposto a rinunciare alle roboanti imprese himalayane per
dedicarsi
a questo tipo di alpinismo? Perché in Italia questo genere di salite
suscita così scarso interesse? La massa degli alpinisti continua
ad accanirsi sulle solite montagne famose, specie gli ottomila, e gli
alpinisti
"di punta" sono a caccia continua del successo sull'ultimo problema del
momento. A mio avviso però gli "ultimi problemi" non sono mai esistiti:
è solo una questione di fantasia, e se qualcuno ne parla è
solo perché la sua immaginazione non va al di là del proprio
naso, e vede solo ciò che è palesemente sotto gli occhi di
tutti; ognuno può inventarsi i propri "problemi", in relazione al
proprio tempo e stile. Anche la parola è inadatta allo scopo: sarebbe
più corretto parlare semplicemente di obiettivo alpinistico o di
arrampicata, sganciandosi dalla mentalità eroica e di conquista
(ben lungi dall'essere stata superata) a cui l'alpinismo cosiddetti
classico
ci ha abituati: quelle pareti le volevamo semplicemente salire per il
gusto
di arrampicare, iniziando dal punto più basso, che non è
"l'attacco", e terminando nel punto più alto, che, casualmente,
coincideva con la cima, senza voler conquistare niente e nessuno. Non
potremmo allora parlare di primo obiettivo anziché di ultimo problema?
E invece no, non mi sta bene neppure così. Innanzitutto perché
non siamo i primi a cercare questo nuovo tipo di esperienze, poi perché
mi infastidisce sentire gli alpinisti che, per poter vendere le proprie
salite al pubblico, cercano in ogni modo di appiccicargli le
definizioni
"prima" e "più" ad ogni costo ..... anche a costo di rendersi ridicoli.
La prima italiana, la prima cittadina, la prima paesana, la prima
femminile,
il più giovane, il più vecchio, la più alta, la più
bella, la più difficile, la più veloce......ognuno potrebbe
inventarsi la propria impresa eclatante. La Sosbun Spire I. Una parete,
una bella parete. Se vogliamo aggiungere un commento soggettivo, né
più alta né più bella di altre. Una salita, né
la prima né l'ultima. Il Bublimotin: circa seimila metri di quota,
circa ottocento metri di parete. Già salita? Sicuramente la cima,
forse la parete. Bella? Sicuramente per noi. Almeno abbastanza per
investirci
le ferie di un intero anno. In questi ultimi tre anni nella Valle Hunza
e nell'Himalaya Indiano il bel tempo non è certo stato dalla
nostra parte, e le lunghe giornate piovose passate chiusi in un sacco a
pelo cominciano a pesare. Regolarmente, quando sotto la pioggia
smontiamo
il campo per far ritorno, l'idea più insistente è :"l'estate
prossima me ne vado al mare". Ma Sonja tutte le volte mi ricorda che
anche
l'anno prima avevo detto so stesso, e poi ci basta qualche bella
giornata
di relax, per ricaricare le batterie...
28 Settembre, Isola della Maddalena. Oggi ho fatto la mia prima
immersione
con le bombole, un mondo fantastico, un'altra dimensione della
verticale.
Domani è prevista una splendida immersione alla secca di Lavezzi,
nel mezzo una colonia di cernie. Dopodomani sci nautico e qualche
tiro sul massi dell'isola... nel frattempo butto giù questi appunti,
e le batterie si ricaricano...
LA
PROPOSTA
Le
caratteristiche principali che accomunano questi due viaggi sono: la
completa
assenza di complicazioni burocratiche, che rende accessibile questo
tipo
di esperienza a chiunque e a qualsiasi portafoglio, e la natura tecnica
dell'arrampicata, su linee estetiche di granito verticale, senza la
ricerca
della quota. In Pakistan, se non intendete superare la quota di 6000 m
o addentrarvi in zone di accesso limitato è possibile muoversi senza
costosi permessi,
senza la scorta perenne di un ufficiale di collegamento e senza
nessun'altra
fastidiosa pratica burocratica. E' sufficiente quindi procurarsi un
biglietto
aereo e uno zaino ben rifornito di materiale per buttarsi in questo
genere
di avventura, a patto naturalmente di essere disposti una volta sul
posto
a darsi da fare per trovare alloggi, trasporti, cibo, portatori....ma a
mio avviso anche queste componenti fanno parte del viaggio. Se non
siete
dell'idea meglio allora che vi affidiate ad un'agenzia che vi
fornisca
il campo base chiavi in mano. Naturalmente il costo del viaggio sarà
almeno il doppio. Le compagnie aeree che hanno l'organico più
consistente
su Islamabad sono la PIA (Pakistan International Airlines) e la British
Airways. Nel '93 il costo di un biglietto era di circa 1.400.000 per il
periodo di un mese; per una permanenza più lunga la spesa si alza
un pochino. Se vi manterrete sotto i fatidici 6000 metri (ed in zone
non
restricted) per un periodo non superiore ad un mese, è
sufficiente il visto turistico rilasciato dall'Ambasciata Pakistana
a Roma (via della Camilluccia 682 - 00135 Roma - tel.06-3276775). Potrete
fare il visto tramite un corriere direttamente all'agenzia
dove acquistate i biglietti aerei, fornendo per ogni persona il
passaporto,
due foto tessere, il modulo "Visa Application for Pakistan" (ottenibile
alla stessa ambasciata o all'ufficio della PIA a MIlano, via
Cannobbio
16). Il visto è valido 6 mesi dalla data del rilascio.Se la vostra
permanenza in Pakistan supererà il mese dovrete estendere il vostro
visto appena arrivati nella capitale, è possibile farlo all'ufficio
di polizia dei pressi delle carceri di Rawalpindi, servono tre foto
tessera
e un pugno di rupie. Se invece la cima a cui puntate supera i 6000
metri,
allora dovrete ottenere il costoso permesso al Tourism Division of
Ministry
of Culture Sports and Tourism College Road F7/2 Islamabad. Ci
vorrà
qualche giorno di permanenza nella capitale per espletare tutte le
formalità
e vi verrà assegnato un ufficiale di collegamento che dovrete
scorazzarvi
ovunque, naturalmente a vostre spese, e per il quale dovrete portare
dall'Italia
vestiario e tutto l'equipaggiamento. Per alcune zone è richiesto
un permesso particolare anche solo per il trekking; una di queste è
il ghiacciaio del Baltoro. Un opuscolo che riporta tutte le norme che
regolano
il trekking in Pakistan (Trekking Rules & Regulation) è
richiedibile
per posta al ministero del turismo all'indirizzo sopra riportato. Non
vi
è alcuna vaccinazione obbligatoria per recarsi in Pakistan ma, viste
le condizione igieniche in cui ci si trova a vivere, ci sentiamo di
consigliare
almeno l'antitifica e il vaccino contro il colera, eventualmente
l'antimalarica,
oltre naturalmente alla solita antitettanica. L'unica cartina
abbastanza
valida, facilmente reperibile sul mercato, è la seguente: Karakorum
sheet 1 - Swiss Foundation for Alpine Research, Zurich (CH). Foglio 1 e
2 devono essere ordinati insieme per posta all'indirizzo citato. Libri
utili per farsi una cultura prima di partire ed in viaggio per i
precisi
riferimenti sono: "Guida al Karakorum" di Giancarlo Corbellini
(edizioni
Mursia) e "Pakistan, guida vissuta" di Marco Vasta (edizioni
Calderini).
Per quanto riguarda le riviste: un bell'articolo con belle foto di
Mick Flower sul numero 145 di Mountain "A short Holiday in Hunza"
racconta
la prima salita dell'Hunza Peak e la seconda del Bublimotin, entrambe
dal
colle che le separa; una breve monografia sulla Sosbun Valley sul n.27
di Vertical (La chronique) per Bernard Domenech; ed ultimo, il primo,
cioè
l'articolo che ci ha dato la prima scintilla, sull' austera rivista
polacca
Taternik del febbraio'86 di Janusz Skorck.
LE
PARETI
IL BUBLIMOTIN
L'avvicinamento
al campo base del Bublimotin da su è particolarmente semplice e
breve. Dal castello di Karimabad ci si inoltra nella Valle Ultar. A
circa
tre ore di cammino si trova un alpeggio ancora usato dai pastori, sulla
carta Sheeper Hut (la capanna del pastore), dove potete campeggiare se
volete prendervela con comodo, oppure proseguire con uno zig-zag nel
canale
sovrastante per gli arditi sentieri delle capre, e uscire sui ripidi
prati
a destra. Attraversato di nuovo il torrente, questa volta verso
sinistra,
troverete, sui ripidi pendii sotto delle torri granitiche, due piccole
piazzole scavate nel prato che delimita il canale d'accesso al
Bublimotin.
Questa piazzola artificiale, scavata da una spedizione francese che
tentava
la parete sud, può ospitare massimo tre piccole tende a cupola ed
un telo in una rientranza a formare il locale cucina. L'accesso al
canale
è abbastanza complesso: per i ripidi prati al bordo del canale fin
dove possibile, poi tre lunghezze di quarto grado ed infine una corda
doppia
nascosta dietro una torretta vi apriranno le porte ell'ingannevole
canale.
Ampio e facile da principio, il canale poi si biforca e nella
diramazione
di destra le cose possono complicarsi un pochino: il ghiaccio potrebbe
trasformarsi in una lastra nera e delicata (attenzione alle
scariche).
Disegno di Pietro Corti |
LA SOSBUN
VALLEY
Oggi
la pista gippabile prosegue oltre Dasso in direzione Atholi. Dal
villaggio
di Hoo si sale nella ripida vallata per un sentiero polveroso sul lato
destro orografico. Superato lo sparuto villaggio di Phirma si arriva in
breve all'alpeggio di Nama, un bel prato verdeggiante con acqua
finalmente
pulita, ottimo per accamparsi. Il giorno successivo si raggiunge in
direzione
nord la morena dove convergono quattro ghiacciai: Sosbun, Tsilbu, Hoh
Lungma
e Chongahanmung; quì si abbandona il sentiero che si fa pianeggiante
in direzione ovest, per continuare verso nord, in direzione del Sosbun
Glacier. Attraversato il "black glacier" vi ritroverete su un piccolo
spiazzo
pianeggiante e verde, da cui verso destra inizia il ramo principale del
Sosbun Glacier. Un altro giorno di cammino in direzione nordest su una
interminabile morena falsopianeggiante vi condurrà alla base delle
Sosbum Spire. La nostra via sale sull'evidente spigolo sudest della
Spire
I, per trentacinque lunghezze di difficoltà continue tra il quinto
e il sesto superiore. L'inizio è sotto un tettino con roccia nera
e rossa, che porta alle belle placche immediatamente a sinistra del
filo
dello spigolo; quasi tutte le soste sono attrezzate con uno spit,
mentre
sono pochissimi i chiodi lasciati lungo la via (indispensabili friend e
nut); la discesa è a corde doppie sulla via di salita.
Mappa di Avvicinamento alla Sosbun
Spire I
Disegno di Pietro Corti |
Relazione della salita alla Sosbun
Spire I
Disegno di Pietro Corti |
Testi,
disegni
e immagini: Copyright © Paolo Vitali – www.paolo-sonja.net
|