Spedizione
italiana
alla Sosbun Valley (Karakorum)
Paolo Vitali, Lecco
Articolo pubblicato sulla Rivista del Club Alpino
Svizzero - 4°
trimestre 1989
La Sosbun Valley:
sogno e progetto
Il
mitico numero "8000" magnetizza le speranze ed ambizioni di centinaia
di
alpinisti, calamitandoli sugli scintillanti pendii dei giganti del
Karakorum
ed Himalaya, mentre rimangono ancora da esplorare settori che
racchiudono
montagne di sogno, eleganti e vertiginose.
Ho in mano qualche bella foto in
bianco e
nero, una cartina
schizzata a biro ed una lettera con informazioni stringate: è la
documentazione fornitaci generosamente dagli alpinisti polacchi di
ritorno
da un tentativo alpinistico ad una meravigliosa torre granitica in
Pakistan.
Le foto parlano da sole, e subito inizio a fantasticare su questa valle
pressoché sconosciuta, anche se così vicina alla pista sul
Baltoro per i campi base dei vari K2, Broad Peak, ecc: la Sosbun
Valley.Non
bisogna dimenticare poi che organizzare una salita su queste cime è
relativamente semplice rispetto alle spedizioni verso le "grandi"
montagne:
nel nostro caso non serve neppure il permesso per raggiungere la cima,
dato che la torre che vogliamo salire non supera i 6000 metri.
Poco
materiale, pochi portatori, obiettivi "moderni" che, invece di lunghe
marce
in quota, imponderabili pericoli oggettivi e le decine di milioni di
budget,
offrono la possibilità di arrampicate gratificanti come nelle nostre
Alpi, ma su dimensioni e quote "maggiorate", e con costi abbastanza
accessibili.Al
sogno segue il progetto. Coinvolti alcuni amici, entusiasti dell'idea,
finalmente Sonja Brambati, Adriano Carnati, Tita Gianola, Daniele
Bosisio
ed io ci ritroviamo con il biglietto Milano-Islamabad in mano!
Verso l'avventura:
primo impatto con in Pakistan
Sabato
6 agosto 1988: dopo una foratura al pneumatico ed un po' di suspance
per
un guasto all'acceleratore (il tutto nel tragitto Como - Milano!)
sospiriamo
di sollievo sulle poltrone dell'aereo, che speriamo sia in condizioni
migliori
della nostra automobile....
Il primo impatto con il Pakistan è
scioccante:
45 gradi, un umidità spaventosa, sporcizia, odori strani e....camere
d'albergo senza aria condizionata. Iniziamo subito a galoppare tra
uffici
e negozi per le formalità, l'acquisto dei viveri e la ricerca di
un mezzo di trasporto; ogni cento metri ci tuffiamo nell'aria umida di
un bar per berci una coca-cola, che ci evapora dalla pelle nei
successivi
cinque minuti. Lunedì partiamo sul
"nostro"
mini-bus stipato di materiale ed alpinisti molto sudati alla volta di
Skardu,
che raggiungiamo completamente sconvolti dopo 24 ore di viaggio
ininterrotto.A
Skardu abbiamo poco tempo per fare i turisti: bisogna ingaggiare i
portatori,
organizzare il trasporto a Dasso e provvedere a gli ultimi rifornimenti
di viveri e combustibile; intanto il tremendo "Pakistan Food", un
cocktail
vulcanico di cibi conditi con spezie ultra piccanti e peperoncini
assortiti,
contribuisce al nostro degrado intestinale. Paese
che vai ....Qui donne non se ne vedono, a parte qualche fuggevole
apparizione
velata a bordo di malconci furgoncini; le gambe di Sonja sono molto
"gettonate";
ma come si fa con questo caldo a non indossare i pantaloncini corti? In
compenso si incontrano coppie unisex di maschioni locali mano nella
mano
.....con le unghie smaltate di rosso! Una
brutta sorpresa
all'Hotel K2: troviamo la cartolina di una spedizione austriaca guidata
da Heinz Zak, raffiguranti le torri della Sosbun Valley, partita a
maggio
con il nostro stesso obiettivo. Non riusciamo tuttavia a sapere nulla
sull'esito
del loro tentativo. Cerchiamo così
di
accelerare
i tempi, e venerdì 12 partiamo sotto la pioggia con i nostri sacconi
da 25 kg. per l'ultima tappa motorizzata. A Dasso riuniamo i nostri
otto
portatori, che non ci consentono però una comoda marcia d'avvicinamento
con macchina fotografica a tracolla; è previsto infatti che anche
noi cammineremo con la nostra soma di 25 kg. Gli accordi sono semplici:
assicurazione e 130 rupie al giorno per ogni portatore che dovrà
preoccuparsi personalmente di vitto e abbigliamento. Le nostre paure
per
il gruppo di Zak vengono dissolte da una spedizione tedesca diretta
alle
Torri del Trango, composta da otto persone tra le quali emergono le
figure
atletiche di Wolfgang Gullich e Kurt Albert i quali ci assicurano che
gli
austriaci sono dovuti rientrare a mani vuote a causa del maltempo...;
non
dovremo così cambiare obiettivo, anzi: il fatto che anche nell'ambiente
dei forti si conoscano queste torri ci stimola ulteriormente.
In marcia verso la
Sosbun Valley: presa di contatto
Sabato
13: inizia l'avvicinamento a piedi in un paesaggio selvaggio e
maestoso,
ma la mancanza d'acqua ci mette a dura prova; ne troviamo solo al campo
serale, e per non bere quella che scorre dal villaggio, ci rassegniamo
ad usare quella del torrente: è marrone come caffelatte, satura
di particelle terrose in sospensione. "Non ci credo che sto bevendo una
roba del genere!" E' l'esclamazione che ci viene spontanea pensando ai
limpidi torrenti che scorrono sulle nostre montagne. Durante la notte
ci
sveglia una scossa di terremoto! Istintivamente guardiamo fuori dalle
tende,
considerando con apprensione i ripidi pendii ti terra e ghiaia, alti
fino
a mille metri, che sovrastano il campo. Ma dove potremmo rifugiarci?
Qualcosa
della mentalità di questo paese l'abbiamo però imparata,
e ci rimettiamo a dormire con fatalismo mussulmano.....
Sveglia
sempre alle 5.30 ed appena possibile la lunga giornata di cammino; oggi
si conclude sul bel prato di Nama, con acqua fresca e pulita che non ci
fa rimpiangere le lattine di Coca Cola ingurgitate finora.
Passiamo
la serata con tre dei portatori che ci aiutano a cucinare e a mangiare
il "ciapati", la classica pagnotta locale. Inizialmente
nutrivamo un po' di diffidenza verso questa gente, ma in seguito si e'
rivelata affabile e del tutto affidabile. Essendo una piccola
spedizione
è stato facile instaurare velocemente un rapporto diretto con queste
persone, fatto di sorrisi, gesti ed un po' di inglese non del tutto
accademico.Ultima
tappa sotto la pioggia battente; arriviamo sotto un gran promontorio ed
i portatori si fermano. C'è nebbia, piove, non si vede quasi niente;
ma loro dicono che siamo a Jusma, il campo base!
E' lunedì 15 agosto ma qui non davvero
ferragosto:
fa freddo e non troviamo l'affollamento di una stazione turistica in
questa
stagione. Subito il giorno dopo io e Franz con un primo carico di
materiale
ci avventuriamo sul ghiacciaio, alla ricerca delle torri, che
avvistiamo
dopo oltre due ore di cammino: allora ci sono davvero!! Ci
accorgiamo che l'unica "cartina" che abbiamo è assai approssimativa,
non riuscivamo infatti ad orientarci bene, ma ormai ci siamo; dopo
altre
tre ore lasciamo il materiale sulla morena cercando un luogo adatto al
campo avanzato. Nel frattempo continua a piovere. Ancora due giorni di
trasporti, poi ci sistemiamo tutti nel campo avanzato, posto ad un'ora
circa dalla base della Sosbun Spire I, la magnifica torre che
costituisce
il nostro obiettivo. Durante il cammino intravediamo tre orsi
vagabondi;
speriamo che non scoprano tende e viveri lasciati al campo base.... non
ci chiederebbero di certo il permesso per divorare tutto, viste le
scarsissime
possibilità di alimentazione esistenti qui intorno. In quanto a
noi.... speriamo che siano vegetariani!
La scalata della
torre
Venerdì
19 agosto: due settimane dopo la partenza da casa, raggiungiamo carichi
all'inverosimile l'attacco dello splendido pilastro della torre.
Decidiamo
di attaccare a sinistra del tentativo polacco, che si era arenato dopo
circa 250 metri contro una sezione verticale e compattissima.....il
tempo
è sempre molto instabile e dobbiamo essere il più veloci
possibile, cercando di salire in libera le magnifiche placconate che
abbiamo
attaccato. Nel pomeriggio io e Tita superiamo i primi 100 metri
fissando
una corda arrampicandoci con scarpette a suola liscia, nuts e friends
su
d ifficoltà
abbastanza elevate. Sabato il tempo
è discreto,
così proseguiamo attrezzando altri 250 metri su roccia sempre
bellissima
ma che oppone fessurine cieche dove è difficile proteggersi. Quando
scendiamo nevischia di nuovo. Domenica:
il
sole! Ci
catapultiamo all'attacco, ma Sonja non è con noi: il giorno prima
era con me e Daniele in parete; gli sbalzi di temperatura di questo
tempo
instabile le hanno provocato un forte mal di gola e questa mattina sta
proprio male; così a malincuore preferisce rimanere al campo avanzato
per non rallentare la cordata. Oggi
tocca a
Franz
e Daniele raggiungere con 250 metri il nevaio alla base dello spigolo
superiore,
mentre io e Tita facciamo la spola sulle fisse con viveri e tendina. I
due in testa intanto concludono la giornata con altri 200 metri di
grande
arrampicata, che attrezzano per il giorno seguente. Non
siamo riusciti a piazzare decentemente la tendina, così dopo una
buona minestrina liofilizzata (altro che maccheroni e bistecca!) ci
addormentiamo
sotto un meraviglioso cielo stellato.
Finalmente in cima
Lunedì
22 partiamo decisi per la cima abbandonando il materiale da bivacco e
il
cordino statico. Dopo un intermezzo non eccessivamente difficile siamo
ormai vicini al diedro sommitale, e le difficoltà aumentano
sensibilmente.
E' a questo punto che la maligna "nuvoletta da impiegato" sbuca da
dietro
la montagna, scaricandoci addosso folate di nevischio; ma ormai non
manca
molto e proseguiamo. Le difficoltà
restano
elevate, e la quota (siamo abbondantemente al di sopra dei 5000 metri)
si fa sentire: dopo ogni tiro arrivo in sosta con le palpitazioni e la
lingua di fuori. Finalmente alle
15.00 siamo in
cima.
Qualche foto veloce per non attardarci troppo. Il panorama è nascosto
da una cortina di nebbia e nevischio e fa freddo. Scendiamo fra colate
d'acqua che scorrono nei diedri. Ci si incastrano le corde; ne
abbandoniamo
due e così con una corda sola giungiamo ormai "saturi" al bivacco
della sera prima. Pioggia e neve ci costringono a montare in qualche
modo la tendina, dove con numeri rocamboleschi sciogliamo la neve per
cucinare;
poi segue la lunga attesa in un umido dormiveglia. Il
martedì ci regala un po' di sole e scivolando con una certa apprensione
sul cordino statico da 6 millimetri, giungiamo alla fine del nostro
sogno
accolti al campo avanzato da Sonja. Riattraversiamo
le lunghe, monotone morene fino al campo base, con una voglia tremenda
di un po' di relax. Due giorni di
riposo e
pastasciutta
non stop, con un tempo infame che scoraggia qualsiasi tentativo di
bagno
in un laghetto scoperto nei dintorni e di un'eventuale esplorazione
delle
valli limitrofe. Sabato 27 : si
parte con
carichi
assurdi per il viaggio di ritorno. Il giorno seguente decidiamo però
di meritare un premio: ingaggiamo cinque contadini improvvisatisi
portatori
che ci alleggeriscono di ogni peso e, con dieta a base di minestre,
albicocche
e dolciumi, arriviamo a Skardu con grossi problemi digestivi.
Si
conclude così una grande esperienza, un viaggio in un pese selvaggio
e poverissimo, e una popolazione con valori, usanze e civiltà
lontanissime
dalla nostra immaginazione. Uno strano paese soffocato da una natura
durissima
ed inospitale ma che offre a noi occidentali la possibilità di
realizzare
i nostri sogni.
Testi,
disegni
e immagini: Copyright © Paolo Vitali – www.paolo-sonja.net
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