Articolo
apparso suLa Rivista della
Montagna Aprile 1992 pag.90-97 LA
TORRE MAI VISTA di Paolo Vitali
Nella valle himalayana del Miyar, sulla
linea di confine fra Himachal
Pradesh e Zanskar, c'è un paradiso di granito totalmente sconosciuto.
E, soprattutto, una magica torre monolitica di color "rosso Capucin".
Tutto
cominciò da un dettaglio. Il dettaglio
quasi insignificante di una foto comparsa qualche anno fa su una
rivista
di alpinismo. In un angolino dell'illustrazione si intravedeva una
porzione
di pilastro granitico. La didascalia , piuttosto laconica, diceva che
la
zona era "ai confini dello Zanskar". Dove, esattamente, non veniva
chiarito.
Quell'immagine, tuttavia, pareva un miraggio..... La
voglia di arrampicare, unita al gusto di visitare regioni nuove,
conoscere
genti e usanze diverse, mi spinse qualche mese fa ad organizzare una
spedizione
nella valle del Miyar, praticamente sulla linea di confine tra Himachal
Pradesh e Zanskar. L'obiettivo? Non lo conoscevo affatto: avevo in
mente
solo quella foto. Persino gli amici coinvolti nel progetto stentavano a
credere che saremmo partiti sulla base di quello scarno particolare che
aveva acceso la mia fantasia. In realtà la spinta decisiva a seguirmi
penso l'abbia data loro la fiducia che riponevano in me, in virtù
delle mie fortunate esperienze precedenti.
Tre
amici, mia moglie, lo spirito giusto e un biglietto
aereo Milano - Delhi. Nient'altro, nemmeno un minimo di organizzazione
preventiva. In ogni caso, nonostante le molte incognite nascoste dietro
l'angolo, la porta ormai era aperta.
Da Delhi
in poi fu tutto da inventare e da improvvisare:
il trasporto per Manali e Udaipur, l'acquisto dei viveri, il difficile
ingaggio dei cavalli (seppure pochi), la scelta della valle da
esplorare,
l'individuazione del luogo adatto ad allestire il campo base...... Tutto
filò liscio come l'olio. Meglio che se ci fossimo fatti organizzare
il viaggio da un'agenzia di trekking, per non parlare poi del gusto per
i contatti con la popolazione locale durante le trattative, e il
considerevole
risparmio economico, fattore non trascurabile per arrampicatori non
professionisti
privi di un qualunque sponsor.
Il solco
vallivo che intendevamo percorrere alla ricerca
di una qualche guglia meritevole di essere scalata, è uno dei
tantissimi
valloni laterali che sboccano nel bacino principale del Miyar e, da
quanto
ci risultava, fino a quel momento era stato solo scrutato con il
teleobiettivo,
ma mai percorso. In ogni caso, per nessuna di quelle montagne il
governo
indiano richiedeva il pagamento di costose tariffe, cosa che - oltre
tutto
- consentiva di muoverci senza ufficiale di collegamento, guide,
cuochi,
annessi e connessi, e quindi nella massima leggerezza.
La
nostra destinazione finale era il villaggio di Udaipur.
Di qui saremmo entrati nel vivo della spedizione alpinistica: quattro
giorni
di marcia ci separavano dal luogo del nostro campo base. La valle ci
apparve
subito bellissima, la gente cordiale e ospitale; anche il tempo, dopo
un
acquazzone iniziale, si ristabilì facendoci ben sperare per i giorni
a venire. la cosa più difficile, in quel momento, sembrava essere
solo la scelta del luogo per piazzare il nostro "base".
La
ricerca della guglia
Dal fondovalle non si vedevano affatto
i pilastri granitici
sui quali avevamo fantasticato. Quindi eravamo obbligati a fidarci
dell'intuito.
Insomma, dovevamo fermare il cavallante alla diramazione di una valle
laterale
sperando che fosse quella buona, pena il trasporto a spalla, per
qualche
decina di chilometro in più, di tutto il materiale e il cibo destinati
alla parete.
Le cinque settimane di ferie non ci
permettevano tregue,
e così il giorno dopo, con un mega-zaino sulle spalle, partimmo
alla ricerca della nostra montagna. Dopo qualche ora di cammino ci
assalì
lo sconforto: "quei pezzi di granito" delle foto non erano all'altezza
delle nostre aspettative e... Tuttavia non ci scoraggiammo troppo. La
valle
sembrava non essere mai stata percorsa da umane genti, solo un folle
pastore
portava le sue capre a brucare qualche raro filo d'erba tra le morene
all'imbocco
della valle. Poi il ghiacciaio piega a sinistra, e chissà cosa avremmo
trovato dove l'occhio della macchina fotografica non era ancora
arrivato...... Nei
giorni precedenti, in marcia verso il campo base, fantasticavamo
sull'utopistica
possibilità di girare l'angolo di una valle sconosciuta e di scoprire
un Eldorado di stupende guglie di granito; un sogno forse abbastanza
comune
a molti arrampicatori alla ricerca di nuove sensazioni, ma sicuramente
non più realizzabile sulle nostre care, vecchie Alpi. A un certo
punto però, stentammo a credere ai nostri occhi. Era accaduto tutto
all'improvviso, senza il minimo segno premonitore. Una torre monolitica
di colore "rosso Capucin" si stagliava contro il cielo terso. Davanti a
noi salivano due splendidi spigoli verticali, provocanti, e ci venivano
presentati quasi su un piatto d'argento.
Stabilito che la torre sarebbe stata
il nostro obiettivo,
allargammo l'orizzonte sul resto della valle, pensando tra le altre
cose
ai vari amici a cui avremmo affidato la foto di una delle numerose
torri
che costeggiavano entrambi i lati del solco vallivo. Come si saranno
sentiti
i primi alpinisti giunti al cospetto delle Torri del Paine o delle
Cattedrali
del Baltoro? Accidenti, eppure eravamo nel 1991, e in Himalaya! Come
non
pensare ai vari alpinisti lariani, più o meno famosi, che alla nostra
partenza quasi ci schernivano, per la nostra mini-spedizione....
Il
peso dello zaino ci riportò bruscamente alla realtà; qualche
bella foto e poi dietro-front verso il base. Saremmo tornati il giorno
seguente, col secondo e ultimo carico, per stabilirci definitivamente
alla
base del nostro obelisco. Ma intanto con quale nome avremmo potuto
battezzare
la magica torre mai vista? Semplice: Neverseen Tower. Per il
ghiacciaio
che la ospita, appena accennato su tutta la cartografia da noi
reperita,
pensammo a Tawa Glacier, in onore a quell'apprezzatissimo
oggetto
che è la piastra per preparare il ciapati, le focacce di farina
integrale. Arriva il monsone
Le tre bellissime giornate di cielo
terso regalateci
dai monsoni ci avevano permesso di individuare con sicurezza il luogo
per
il campo base e di avvistare la torre, tanto che cominciavamo a pensare
di essere usciti dalla zona delle grosse perturbazioni stagionali.
Grave
errore! La nostra posizione era esattamente sulla linea di confine fra
l'Himachal Pradesh e lo Zanskar. Ci stabilimmo al campo avanzato,
costituito
da una delle due tendine del già misero campo base, con associata
una tendina da bivacco destinata alla parete. E subito i monsoni si
fecero
sentire con un continuo stillicidio. Da buoni alpinisti non a tempo
pieno
( ma a pieno tempo libero!), abituati a sfruttare sulle Alpi anche i
fine
settimana con la
meteo non proprio ottimale, evitammo di concederci anche una sola
giornata
di riposo. D'altra parte, fatti i conti, per salire la parete non
avevamo
a disposizione più di otto giorni. Considerate le condizioni
meteorologiche,
tutt'altro che propizie, abbandonammo a malincuore l'idea iniziale di
salire
integralmente lo spigolo sud. Così, evitata la bella torre staccata
che fa da avancorpo (e che sembrerebbe proporre una bellissima
arrampicata
su placche e fessure di granito rosso e compatto), guadagnammo quota
grazie
ad un canale non difficile in centro parete. Una diramazione del
couloir
verso sinistra ci riportò poi sul filo dello spigolo. Finalmente
era tempo di scarpette e magnesia! E il nostro allenamento in
arrampicata
a che punto era dopo venti giorni di viaggio e di avvicinamento?
Portare
in montagna le difficoltà di falesia è già difficile
sulle Alpi; in questi luoghi, dove oltre alla quota occorre aggiungere
l'isolamento e i tempi lunghi di avvicinamento, il gioco può diventare
davvero un'impresa: di sicuro avremmo dovuto accontentarci di qualche
grado
in meno. Per due giorni continuammo a darci il cambio in parete:
volevamo
sfruttare al massimo le pause tra un piovasco e l'altro; precipitazioni
che, come uno scherzo, si erano annunciate proprio nel momento
dell'installazione
del nostro minuscolo campo avanzato. Dalla cengia, a cui eravamo giunti
grazie al canale, un bel dietro ci permise di arrivare fin sotto un
grosso
strapiombo che evitammo sulla destra lungo una serie di fessure seguite
da una placca adagiata. Tutto bene, peccato solo per l'acqua che colava
dalle fessure (conseguenza delle piogge mattutine ) e si infilava nelle
maniche per inzupparci fin nelle parti più intime.
Lo strapiombo celava una bella cengia
detritica. Per
sfruttare al meglio tutte le ore di bel tempo che il monsone ci avrebbe
concesso, decidemmo di stabilirci in parete. Ma quello stesso
strapiombo,
che eravamo riusciti ad evitare, si preso presto la rivincita. Salire
le
jumar nel vuoto, sopra i 5000 metri, è più faticoso di quanto
si possa immaginare. Con un lavoro di disgaggio, appianammo alla meglio
lo spazio per la tendina da parete. Sotto il telo ci saremmo sistemati
in tre; gli altri due - Pierre e Mao - avrebbero generosamente
bivaccato
all'esterno. Era una generosa offerta nei nostri confronti. E dire che
otto anni fa, alla mia prima spedizione, soffrivo pure io di questi
slanci.... L'attesa
del bel tempo?
Dalla cengia, altri diedri ci
permisero di continuare
lungo lo spigolo. Dal punto massimo raggiunto vedevamo la cima e le
belle
placche, compatte ma leggermente inclinate, che ci separavano dalla
sommità:
apparivano solcate da leggere fessure e accendevano la nostra fantasie
e le nostre speranze.
Le difficoltà incontrate fino a quel
momento erano
elevate ma non estreme, nell'ordine del quinto e sesto grado, e i tiri
successivi sembravano promettere ancora meglio. Insomma , avevamo
trovato
quel che cercavamo. Dieci lunghezze di corda , una mezza giornata di
bel
tempo per arrampicare veloci con le scarpette ai piedi e avremmo
coronato
il nostro stupendo sogno indiano.
E invece sembrava una beffa. Dopo
tutto il caldo patito
durante la marcia di avvicinamento, in parete la neve cadeva copiosa e
la temperatura non permetteva certo di calzare le scarpette. Col
risultato
che le giornate passavano, tutte uguali, senza miglioramenti
meteorologici,
cadenzate dai pasti razionati e dal mio continuo ticchettio
sull'altimetro,
dentro un sacco a pelo sempre più umido. Dopo quattro giorni di
questo tran-tran il tempo a nostra disposizione giunse al termine. Praticamente
senza viveri, tentammo di forzare l'ultima parte della via con il
brutto.
Più che altro per metterci il cuore in pace. Ma arrampicare in scarponi
su quelle difficoltà, con fessure e materiali intasati dal ghiaccio,
sotto la neve, con temperature sotto lo zero, a 5500 metri di quota, si
rivelò impossibile. Un bel volo di Rudi, che verrà poi calato
per via delle contusioni riportate, mise definitivamente fine alle
nostre
speranze. La vetta, la ciliegina sulla torta ci veniva negata. E
allora,
inevitabilmente, decidemmo di tornare indietro. Peccato, davvero.
Dopo i primi momenti di rammarico,
però, all'atto
di infilare i discensori nelle doppie della ritirata, cominciammo a
ripensare
alla nostra bellissima scoperta. I dieci tiri che ancora mancavano, non
più di una mezza giornata di arrampicata, in effetti erano ben poca
cosa rispetto alla globalità della nostra fantastica esperienza.
Insomma, bene o male la nostra spedizione era la dimostrazione che
anche
nel ventesimo secolo, con uno stile leggero, ma con vedute un po' più
ampie di quelle imposte dai mass-media, si può ancora fare della
reale esplorazione alpinistica. Altro che esaurimento delle macchie
bianche
e morte dell'alpinismo! Certo, i rischi legati ad un alpinismo come il
nostro sono tanti: dall'organizzazione in loco della marcia di
avvicinamento
all'isolamento in cui bisogna operare una volta abbandonati i cavalli o
portatori, fino alla possibilità, neppure troppo remota, di non
incontrare affatto sul proprio cammino la torre dei desideri. In ogni
caso,
se anche altri vorranno rischiare, forse nel Duemila avremo delle nuove
Torri del Paine e Cattedrali del Baltoro su cui tessere nuove ragnatele!
I
nostri compagni Maurizio Garota , 21 anni, fa
parte delle ultime
leve del Gruppo Ragni della Grignetta ed è uno dei giovani lecchesi
più attivi. Dopo la ripetizione in serie di numerose e rinomate
vie delle Alpi, ultimamente si è impegnato nella prima ripetizione
di vie recenti nel gruppo del Masino, tra cui la temuta "Spada nella
roccia"
sulla parete del Qualido. Era alla sua prima esperienza extraeuropea.
Pierangelo Tentori, 23 anni,
appartiene anche
lui al Gruppo Ragni. La sua storia alpinistica è molto simile a
quella di Maurizio, con qualche via in più nel suo curriculum. Di
particolare importanza sono alcune sue belle prime invernali nel
Masino,
quali "Il tempio del broncio" e "Scacciapensieri" al Pizzo Torrone
Occidentale
e "Chi si ferma è perduto" allo Scingino. La Neverseen Tower è
stata la sua prima scalata extraeuropea. Rudi Bianchi è il più attempato
dei tre giovanissimi, ma è anche quello che si è avvicinato
più tardi alla montagna. Ha un passato di calciatore e sta recuperando
il tempo perduto arrampicando forsennatamente. Grazie al padre, guida
alpina,
ha conosciuto il fascino delle grandi classiche d'alta montagna; ora
invece,
traviato dalla conoscenza di altri giovani climber, si sta buttando a
capofitto
sulle vie moderne di alta difficoltà. Anche lui era alla prima
spedizione.
Appunti per chi
vuole ripetere l'esperienza Il volo aereo. Sono parecchie
le compagnie che
raggiungono Delhi; le più economiche ci sono parse l'Aeroflot via
Mosca, la KLM via Amsterdam, l'Air India e Lufthansa via Francoforte.
Noi
abbiamo viaggiato con Air India e ci siamo trovati molto bene. Il
prezzo
del biglietto si aggira intorno a 1.200.000 - 1.300.000 (tariffe 1991).
A Delhi Numerosissimi gli hotel
di qualsiasi categoria.
Forse la scarsa differenza di prezzo fra di loro non giustifica tanta
differenza
di qualità; comunque è meglio spendere un tantino in più
(pochissimo) e avere a disposizione un'ospitalità di buon livello.
Noi abbiamo alloggiato al Sofitel Surya Hotel (qualsiasi taxista saprà
portarvici anche senza l'indirizzo), era di gran lusso con piscina
all'aperto
gratuita e negozi di souvenir interni, e il suo costo, senza sconto
alcuno,
si aggirava sui 56 US$ per notte (la camera doppia). Per chi è stufo
della cucina indiana, di per se' poco varia, è anche consigliabile
il ristorante interno dell'hôtel . A proposito di cucina indiana
in genere, consigliamo di non esagerare col cibo piccante, soprattutto
all'inizio, pena problemi intestinali. Avvicinamento.
Alcune agenzie viaggi e/o trek hanno con gli hotel speciali convenzioni
che consentono di risparmiare fino al 50% sul prezzo. Per il solo
trasporto
in mini bus verso Manali, ci siamo appoggiati all'Agenzia Ruck Sack
(director Rani
Puri, tel.6883696-673717 - fax:91/116874377-676377), che ha una
convenzione
con il Sofitel Hôtel, per cui il prezzo si abbassa circa 13 US$ per
notte a testa. Se preferite farvi organizzare gli spostamenti,
un'agenzia
può farlo per voi in anticipo ma, chiaramente, il viaggio vi costerà
molto di più.
Da Delhi a Manali ci sono circa 600
Km, percorribili
in circa 15 ore una media di 40 Km orari, mentre il tragitto
Manali-Udaipur
richiede 11 ore (sono 130 Km) su strada sterrata alquanto sconnessa.
Volendo
risparmiare sul viaggio in bus per Manali e poi per Udaipur, anziché
passare tramite agenzia andate direttamente al bus terminal e
contrattate;
ma ricordatevi che mentre al ritorno, con poco materiale, prendere il
bus
di linea è relativamente semplice, all'andata, con equipaggiamento
e cibo, è quasi sempre meglio disporre di un mezzo di trasporto
privato(la cosa serve anche per abituarsi gradatamente agli standard
locali).
Un mini bus privato per sette persone , con numerosi bagagli, due
autisti
per tre giorni di viaggio da Delhi a Udaipur, compreso chiaramente il
ritorno
a Delhi degli autisti costa circa 1500 US$.
Mappe di avvicinamento -
Clicca per ingrandirle
Manali. Anche Manali è ricca di
hôtel
e ristori per turisti, dai più economici per giovani hippies a caccia
di fumo, ai più raffinati, per trekker che amano la doccia calda
dopo la marcia. Noi abbiamo alloggiato al Pinewood Hôtel e non abbiamo
avuto di che lamentarci. Anche a Manali, come a Delhi, è possibile
trovare una buona varietà di alimenti. Il fratello del boss del
Pinewood è anche una guida locale (fratelli Bannon), che può
aiutarvi a ingaggiare già a Manali un cavallante con i relativi
animali per l'avvicinamento al campo base. I cavalli. Il fatto di
ingaggiare i cavalli già
a Manali piuttosto che ad Udaipur ha i suoi pro e contro. Sicuramente a
Manali ci sarà più disponibilità di cavalli e maggior
concorrenza (cioè prezzi inferiori), ma occorre pagare quattro giorni
in più, due indispensabili al cavallante per raggiungere Udaipur
e altri due per far poi ritorno al suo villaggio. E' quasi sempre
possibile
trovare i cavalli ad Udaipur, col piccolo handicap che in settembre
molti
cavalli sono impegnati per i raccolti e col rischio che i locali
cerchino
di lucrare sui prezzi e sui tempi di percorrenza se capiscono che avete
assolutamente bisogno di loro. Un cavallo costa circa 65 rupie al
giorno;
i ragazzi che si offrono come portatori durante le vacanze scolastiche
di luglio ed agosto costano qualcosa di più. Un
cavallo trasporta circa 40 chili, un portatore 25. Coi cavallanti
attenzione
ai tempi di percorrenza e a stabilire in anticipo le soste: tenteranno
di farvi impiegare più giorni possibili per incrementare il loro
guadagno e vi troverete a fermarvi prima di mezzogiorno per piazzare il
campo. Casomai accordategli un giorno di più di paga per il ritorno,
ma definite chiaramente le soste. Fino a Shakoli arriva oggi una strada
sterrata percorsa quotidianamente da bus di linea (costo: due rupe a
persona).
I lavori per il prolungamento della strada proseguono attualmente sul
lato
destro idrografico in direzione del villaggio di Karpat; visti i mezzi,
però, i tempi saranno molto lunghi. Un buon cavallante potrà
farvi arrivare da Shakoli a Chaling anche in un solo giorno, ma
generalmente
si fermano a Karpat per la prima notte (in questo caso si può partire
da Udaipur con i cavalli senza usufruire del bus) per arrivare a
Chaling
il secondo giorno. Il ponte nei pressi di Chaling nell'estate 1991 era
in ricostruzione e bisognava servirsi di una teleferica. Nel caso non
fosse
ancora completato, potrebbe rendersi indispensabile abbandonare il
primo
cavallante e ingaggiarne un altro al villaggio. Ci si può comunque
accordare già ad Udaipur. Da Chaling, la terza sosta si effettua
nei pressi degli alpeggi di Luhling, mentre l'ultima sarà la tappa
più lunga e ci si fermerà circa 2 ore dopo l'alpeggio di
Kai Got, nei pressi della costruzione in pietra di un pastore, su una
collinetta,
con vista sull'ormai prossima, enorme morena del ghiacciaio del Miyar.
Qualora non sia già occupata dal legittimo proprietario, la costruzione
può essere sfruttata anche come deposito del cibo per il campo base.
La
Tawa Valley. Delle tre principali, che si aprono sul versante
sinistro
(idrografico), è quella di mezzo, esattamente sulla verticale del
campo base: Dal campo base, per arrivare sotto le pareti occorrono 6-8
ore di marcia (dipende dalle dimensioni degli zaini), su scomode morene.
Il campo base avanzato. Può
essere installato
sul nevaio proprio alla base dello spigolo centrale della Newerseen
Tower;
numerosi rigagnoli d'acqua pulita solcano il nevaio. Il periodo migliore. E' quello
postmonsonico,
in settembre; quello premonsonico non è sfruttabile, poichè
il Rhotang Pass apre in genere solo a fine giugno. La temperatura non è
particolarmente rigida e pertanto l'abbigliamento richiesto è quello
estivo usato sulle Alpi. La salita. Se il tempo è buono,
consigliamo
senz'altro lo spigolo centrale integrale. La prima torre, da noi
evitata,
presenta un bel granito rosso compatto. In questo caso, il dislivello
totale
in pura arrampicata sale fino a quasi mille metri. Il ritorno. Se volete i cavalli
per il ritorno
dal campo base, accordatevi in anticipo, ma aspettatevi comunque il
bidone.
E' meglio regolarsi di conseguenza e mettere in preventivo il trasporto
a spalle.
La via è stata terminata l'anno successivo
con le nostre indicazioni
da una spedizione romana guidata da Massimo Marchegiani. (articolo su
Momenti
d'Alpinismo 1993). Clicca per la relazione
tecnica