Paolo Vitali & Sonja Brambati
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Articolo apparso sulla "Rivista della montagna" - n°151 - Momenti d'alpinismo Aprile 1993
India "PICCOLE VETTE " DEL GRANDE HIMALAYA
di Paolo Vitali e Sonja Brambati, foto di Paolo Vitali
Un tentativo al pilastro est del Kishtwar Shivling e una ricognizione nelle valle circostanti. Alla maniera dei pionieri del bel tempo antico. Un cocktail di esplorazione, trekking, arrampicata tecnica e, perché no?, un po' di turismo.

Il pilastro est del Kishtwar ShivlingBreve excursus per il lettore.

Che, se ha buona memoria, ricorderà l'antefatto (lo scorso anno, su queste stesse pagine, comparve un articolo sull'Himalaya indiano). E magari rammenterà che la firma era la stessa di chi qui scrive.Allora raccontavamo della scoperta e della salita, quasi riuscita, della Neverseen Tower, nella valle del Miyar. Dopo avere letto fatti e considerazioni relativi alla nostra esperienza himalayana, però, alcuni giovani amici, compagni di arrampicata nelle nostre falesie e sulle Alpi, chiesero perplessi se valesse davvero la pena  affrontare quel viaggio per salire un pilastro di 800-1000 metri. Altri amici, un po' più attempati, legati all'alpinismo più classico e mai convertitisi all'arrampicata, hanno continuato a negarci ostinatamente se non il  consenso, almeno la giustificazione. Perché? Perché forse la nostra attività ,un po' alla ricerca di obiettivi tecnici  sconosciuti e comunque abbastanza fuori dalla norma, probabilmente li disorienta. Per me è diverso: Nato nell'ambito dell'alpinismo classico, ho mosso i primi passi con le varappes ai piedi e col passare del tempo mi sono orientato sempre più verso l'arrampicata pura. Perciò esperienze come quella della Neverseen Tower rappresentano il massimo: un cocktail di esplorazione , trekking, arrampicata tecnica e - perché no? - un po' di turismo. Certo se volessi collezionare  metri di arrampicata e nomi di vie famose, non avrei passato parecchie settimane tra le montagne sconosciute a est di Kishtwar. Piuttosto avrei speso più proficuamente le mie ferie nel gruppo del Monte Bianco, o in Dolomiti. Oppure, per restare in ambito extraeuropeo, avrei tentato la normale di un "ottomila", così da arricchire col prestigio il mio curriculum alpinistico.

Con lo spirito giusto. La ricerca di una montagna nuova, come lo era la Neverseen Tower, o un tentativo per un versante inviolato di una montagna pressoché sconosciuta, come la Est del Kishtwar Shivling, versante estKishtwar Shivling, aggiungono un elevato numero di incognite ai già numerosi problemi che una spedizione deve normalmente affrontare, riducendo notevolmente la possibilità di successo.Ma se il viaggio in un paese lontano, il contatto con popoli dalle usanze, credenze e costumi diversi dai vostri; e il doversi adattare ai cibi locali, camminare per giorni con cavalli e cavallanti; e se il rischio di non trovare esattamente la montagna che sognavate e la paura di fallire la salita non sono per voi un prezzo da pagare, bensì una parte importante dell'esperienza che volete vivere, allora il vostro spirito è quello giusto per questo tipo di avventura. D'altra parte speriamo che con il passare del tempo si riacquisti il gusto per le cose nuove e diverse. Lo stesso gusto che ha spinto, decenni fa, i primi pionieri alla salita di quelle montagne che sono oraIl nostro tentativo al Kishtwar Shivling continuamente assediate da spedizioni, magari sponsorizzate e "pesanti". Spedizioni super organizzate, che continuano ad accanirsi sulle stesse vie normali di cinquant'anni fa. Le informazioni che ho potuto raccogliere per questo nostro viaggio hanno dovuto attraversare la Manica, dato che gli alpinisti britannici sono i più assidui frequentatori e migliori conoscitori Alba sul Kishtwar Shivlingdella zona. Solo in ultimo, gli unici italiani che avevano fatto dell'alpinismo a Kishtwar ci hanno dispensato una gradita sorpresa: un'inaspettata foto del pilastro roccioso nostro obiettivo. Finalmente avevamo almeno un'immagine abbastanza buona di ciò che stavamo per affrontare. Poi, i permessi. Quello dei permessi, ufficiale di collegamento e burocrazia varia è, nella mia opinione, l'unico neo di questo genere di esperienze. Già negativo di per sé, lo è stato in particolar modo per noi quest'anno. Mentre per la Neverseen Tower, partiti senza neppure sapere se esistevano torri da scalare, non ci siamo manco posti il problema "burocrazia" presso l'Indian Mountaineering Foundation, quest'anno esisteva già una documentazione del luogo.Il pericoloso canale d'accesso Ed essendo il Kishtwar Shivling riportato nel "menù" dell'IMF, avevamo deciso di essere perfettamente in regola. Il permesso, prima prenotato quindi richiesto all'ufficio di Delhi, c'è stato regolarmente concesso, con tanto di pagamento in dollari. Organizzazione completata, cartoline della spedizione stampate e vendute, e - stranamente - anche qualche contributo raccolto; ci mancava  solo che ci comunicassero il nome del nostro "liaison officer" e la sua taglia per l'equipaggiamento da portare dall'Italia quando, inaspettato quanto sgradito, un fax da Delhi ci avvisava che il nostro permesso era stato revocato dal Ministero della Difesa per ragioni di sicurezza, dettate dai disordini politici nella regione di Jammu-Kashmir. Cosa fare a quel punto? Il dietro-front sarebbe stato ormai un po' troppo complesso, e amaro. Saputo che altri trekker e altri turisti, senza burocrazia alcuna da Il pilastro est del Kishtwar Shivlingsopportare, si aggiravano indisturbati nella zona, la decisione venne scontata: si parte ugualmente. Dopo il lungo e faticoso viaggio su strade sterrate, di sicurezza molto dubbia, giungiamo ad Atholi, l'ultimo paese toccato da queste famigerate strade. Con nostra grande sorpresa scopriamo che è appena transitata una spedizione britannica in piena regola, con tanto di permesso e ufficiale di collegamento, diretta alle  montagne nel circolo del Kaban La. Per quale motivo fosse stato concesso a loro mentre a noi no, è per me tuttora un grande mistero. Avvicinamento con Chomochoir e Cerro Kishtwar sullo sfondoChe le vecchie faccende di colonialismo abbiano lasciato strascichi negli uffici di Delhi? Oppure, più semplicemente, l'IMF non aveva saputo rinunciare ai numerosi dollari pagati dagli inglesi per ben tre cime, contro la nostra misera cifra? Certo è che i motivi di sicurezza erano una burla: gli inglesi non sono refrattari alle pallottole dell'esercito indiano, ne tanto meno, dei "millitins kashmiri". Comunque sia, se mai ci era rimasto qualche residuo dubbio, a quel punto eravamo decisi: avremmo tentato la salita. 

Nel pericoloso canale d'accessoPermessi...ecologici. A questo proposito credo valga davvero la pena spendere qualche riga per alcune considerazioni su questo genere di permessi. Tutti i paesi asiatici, fortunati detentori delle massime elevazioni del globo, hanno finto un grande interesse per le questioni ecologiche che, in questi ultimi anni, stanno tanto a cuore ai paesi occidentali, molto più evoluti e, quindi, con molto più tempo e denaro da dedicare a tali "quisquilie". Però tutto quello che hanno saputo realizzare a tal fine è stato incrementare le tariffe dei loro menù: a loro dire per diminuire l'afflusso di persone e, conseguentemente, i quantitativi di rifiuti. A mio avviso, invece, e dimostrato dagli eventi, solo un mezzo per ingrassare le proprie casse. Il campo alla base del pilastroSe il loro interesse per i problemi ecologici ed etnici fosse reale, perché non cercare  di disincentivare le cosiddette spedizioni "pesanti" a favore di quelle "leggere", composte da poche persone, con pochi portatori e magari dirette in zone molto differenziate?. Sicuramente la "selezione ecologica" non si attua imponendo ai piccoli gruppi la stessa burocrazia che tocca alle grandi spedizioni, appesantendole dell'inutile e quasi sempre arrogante presenza dell'ufficiale di Sonja alla base dello Shivling, alle sue spalle il Bugjian Peakcollegamento (difficilmente arriverà fino al vostro campo base, riuscirà comunque ad indispettire cuoco e portatori e sarà quasi impossibile recuperare il materiale a lui dedicato, ma di vostra proprietà, inutilmente portato dall'Italia) e della spesa del costoso permesso per ogni elevazione che si voglia tentare. Briciole nel budget  delle spedizioni sponsorizzate , un grande handicap per i "piccoli alpinisti". 

La partenza. Superate tutte queste iniziali scocciature, Il campo alla base del pilastro, sullo sfondo il Cerro Kishtwarcercando di non pensarci, ma soprattutto con la speranza di non incappare durante il nostro tentativo in una spedizione inglese con "L.O." (liason officer), ci immergiamo pienamente nella bellezza dei luoghi che ci circondano e nella nostra sospirata avventura.  E' strano pensare come a pochi giorni di cammino, superato l'Umasi La, il paesaggio possa improvvisamente cambiare e presentarsi arduo e lunare. In questi tre giorni di marcia che ci separano dal campo base, bellissime foreste di cedro si alternano a pinete secolari.  Il sentiero si snoda sempre nelle vicinanze del fiume, ora impetuoso ora disteso in tranquille anse sabbiose, e, a momenti, il piacevole gusto del pino invade le nostre narici per lasciare poi il posto all'aroma intenso della menta. Con Atholi abbandoniamo l'ultimo insediamento mussulmano e la durezza della cultura islamica per incontrare via via i piccoli villaggi di religione indù. Le ultime case ci accompagnano  con la dolcezza e l'amicizia della religione buddista: ogni casa è un susseguirsi  di "namastè" e la voce acuta dei bambini regna padrona. Freddi notti nella tenda da bivaccoUnica cosa che i più arditi osano chiedere in cambio della loro gentile accoglienza è una "pen"; memori dell'esperienza precedente, le nostre tasche  abbondano di piccole matite che distribuiamo loro. Due lunghe tappe di otto ore, inframmezzate da una molto breve. La sera siamo dinanzi al fuoco con i nostri cavallanti a mangiare ciapati, bere chai e provare qualche tiro del loro rozzo tabacco. Nel cielo distinguiamo chiaramente la scia della Via Lattea, operazione ormai impossibile anche sulle montagne più alte delle nostre Alpi per via dell'inquinamento atmosferico e luminoso...Sensazioni da vivere! Terza sera: i cavallanti ripetono il nome dell'alpeggio, confermato dai pastori in loco: Bugjan..Bugjan! Siamo arrivati al nostro campo base. Uno sguardo sulle montagne circostantiUn' occhiata all'altimetro: 3300 metri. Tremilatrecento? Com'è possibile? Una carta riporta 3500 e l'altra 3800 metri?...Controlliamo con il secondo altimetro..Non fa una piega: 3300 metri. Nei giorni successivi, altri trekker di passaggio per l'Umasi La confermano la nostra ipotesi: tutte le quote delle carte sono in eccesso di 200 - 300 metri. Lo stesso Umasi La risulterà al nostro altimetro 5100 metri contro i 5342 delle carte. Sicuramente tutti i trekker transitati avranno aggiustato  il loro altimetro ai 5342 metri, orgogliosi di essere saliti così in alto.  Ma che bisogno c'è di barare? Si può capire l'IMF che fa la cresta di qualche centinaio di dollari per ogni permesso rilasciato. Ma gli alpinisti che riportano le loro avventure? Una montagna se è bella, lo rimane anche se non tocca i 6000 metri...A tal proposito, un'altra questione mi brucia da tempo. Come mai tutte quelle spedizioni che si spacciano per scientifiche si accaniscono a misurare e rimisurare Everest e K2, anziché dedicare un po' del loro tempo, denaro e conoscenze alla rilevazione e studio di zone non ancora conosciute? E' necessario che ogni nazione  porti un proprio trespolo di misurazione sulla cima dell'Everest? Che siano tutti alibi per pagare le velleità di alcuni alpinisti? Stanchi di inquinare i campi base, cominciamo con le cime. 

Lavotrazione dei tappeti a ShrinagarRicognizioni e attesa. Ma torniamo a noi. Il tempo fin qui è abbastanza benevolo. Non l'azzurro terso senza una nuvola che può succedere di incontrare in queste zone, ma un cielo sufficientemente sgombro da permetterci la vista di alcune montagne. La giornata successiva facciamo una ricognizione sul lato destro della valle, in direzione del Chomochior Glacier da dove possiamo studiare il nostro obiettivo e valutarne l'accesso migliore. Siamo abbastanza impressionati: il pilastro è lungo e in buona parte strapiombante. Forse che siamo troppo pochi e abbiamo con noi poco materiale? Franz è un po' scettico, io sono ottimista: se il tempo ci darà la possibilità, non ci mancano né tecnica né determinazione per risolvere il problema.  La carenza di persone e materiale potranno al massimo costarci qualche bivacco in più. Ma il tempo sarà dalla nostra? Cominciamo i viaggi per portarci alla base del pilastro con equipaggiamento e cibo, e iniziano copiose le precipitazioni. Non ci scoraggiamo. Con qualche esperienza patagonica alle spalle, continuiamo nella spola per poter poi approfittare subito della prima occhiata di sole. Ma quando viene? Dopo otto giorni ininterrotti di piogge e nevicate non sappiamo più cosa pensare..Se continuerà così non ci rimarranno più neppure i giorni strettamente necessari per l'arrampicata. 11 settembre: finalmente una mattina di sole. La nord del Kishtwar ShivlingRiscaldati nelle ossa e ritemprati nello spirito, partiamo decisi per andare ad accamparci su uno strano ripiano del canale alla base del pilastro. Sarà la giornata più lunga del nostro viaggio: 1600 metri di dislivello, prima su un ripidissimi prato, poi aggirando crepacci sul ghiacciaio, una risalita a jumar sulla seraccata con recupero del materiale accumulato, per finire con un pericoloso canale, che in ogni momento scarica ghiaccio e sassi. Distrutti. E come se non bastasse a 4500 metri ignoti roditori hanno saccheggiato i viveri dal nostro deposito e a 4900 metri le abbondanti nevicate hanno sepolto un saccone portato fin qui; conteneva pure la tenda da bivacco in cui due di noi avrebbero dovuto dormire. Che nottata! Purtroppo il tempo non sembra esserci amico. Ancora prima di sera sono ricominciate le nevicate, che proseguiranno poi per un'intera settimana. Solo per tre mattine il sole si concederà a noi, mentre l'altimetro sembra impazzito: si abbassa prima delle precipitazioni e si alza prima delle schiarite. D'ora in poi diremo che l'altimetro non si abbassa: s'ammoscia... Le tre mattine di sole non servono un granché. Il ghiaccio non si scioglie e la parete non asciuga. tentiamo ugualmente di arrampicare, ma è come lottare contro i mulini a vento. Per arrampicare su questo pilastro ci occorrono alcuni giorni di tempo veramente bello, ma ormai siamo agli sgoccioli. Dopo altri due giorni di vana attesa non ho più dubbi: se anche ora dovesse mettersi al bello, i giorni a nostra disposizione non basterebbero comunque per raggiungere la cima. 

Un cambio di obiettivo. Salendo nel canale continuo a rimirare sull'altro lato della valle una bella montagna con un pendio di ghiaccio dall'aspetto non estremo. Dalle carte e dagli articoli letti mi risulta mai salita. Mi balena per la testa un'idea, e faccio la proposta ai miei compagni:"Se dovessimo avanzare qualche giorno...". Di comune accordo scendiamo al campo base portando con noi i pochi viveri risparmiati dai roditori razziatori e dalla nostra fame. Il tracciato di salita al Bugjan PeakDue giorni di tempo anche non eccezionale potrebbero bastare per prenderci almeno questa soddisfazione. Nella bufera per tutta la discesa e il giorno successivo al campo base, la scelta risulta quanto mai azzeccata. Più tardi  verremo a sapere che in questo periodo si è verificata in Jammu-Kashmir e Pakistan una disastrosa alluvione con migliaia di morti, villaggi spazzati dall'acqua e chilometri di strade distrutte. Due giorni all'arrivo dei cavalli per il ritorno. Mattina serena. Il nostro cuoco non fa in tempo a preparare il tè, che abbiamo gia lo zaino sulle spalle. Zaino abominevole, 1400 metri di dislivello prima di accamparci alla base della parete sud ovest del....in onore ai pastori e al loro campo nei pressi del base scegliamo Bugjan Peak. Sarà l'ultima galoppata? Il tempo è ancora incerto, nuvole minacciose si aggirano fra le cime , ma siamo stranamente fiduciosi. Ore 4: cielo stellato, frontali accese. Si parte. Aggiriamo alcune rocce per facili nevai e siamo sul pendio. L'inclinazione non ci spaventa di certo, eravamo venuti per ben altro. ma la neve accumulata, quella sì che ci fa sbuffare. Mentre saliamo il pendio, un boato ci fa voltare; un'enorme scarica scende dallo Shivling e occupa per intero il canale che avevamo ridisceso due giorni prima...Noi che pensavamo che le enormi rigole potessero contenere tutte le scariche...Il gompa indu di MachailE' proprio vero , "l'importante è la salute". Se avessimo aspettato ancora due giorni a scendere. Siamo ancora più contenti di essere qui a poter tentare il Bugjan Peak, tanto lo Shivling non scappa. Potremo cercare la nostra settimana più propizia per la salita del pilastro est nel corso di una futura spedizione...se ne avremo ancora voglia. In quattro ore i 900 metri di pendio che separano la tendina dalla cima sono alle nostre spalle. La vetta si presenta con una breve cresta nevosa orlata da una grossa cornice  che sporge sull'altro versante, prevalentemente strapiombante. Finalmente un po' di fortuna: lo sguardo spazia a 360 gradi senza una nuvola, tre rullini di dia mi passano sotto l'indice destro in men che non si dica . Non abbiamo ai nostri piedi il pilastro est del Kishtwar Shivling, ma per questa volta ci accontentiamo e godiamo pienamente del momento. Cerchiamo di identificare il nome delle montagne che ci circondano dalle carte approssimative, montagne per lo più mai salite. Poi 2300 metri di discesa ci attendono fino al campo base: domani abbiamo i cavalli per il ritorno, appena in tempo....Appena in tempo: per approfittarne. A dorso di cavallo facciamo delle vere e proprie corse nelle valli limitrofe: non mi dispiacerebbe, una volta rientrati in Italia, mettere insieme una piccola monografia della zona. Chissà mai che qualcuno possa essere incentivato. Army e millitins permettendo, tre giorni di meritato riposo per asciugarci le ossa ci attendono al piacevole sole di Srinagar, mollemente sdraiati sulla nostra houseboat o shikara. 



Panoramica su Chomochior e Cerro KishtwarUn pochino di storia. Anche se la storia  di queste "piccole montagne" del Grande Himalaya indiano è stata scritta prevalentemente dai britannici, i primi occidentali a farvi visita furono due austriaci. Fritz Kolb e il suo compagno (di cui non siamo riusciti a rintracciare il nome) erano di ritorno da una salita  al  Mulkila, regione del Lahul. Era il 1939 e, allo scoppio della guerra, furono internati in India. Otto anni più tardi , nel 1947, prima di fare ritorno in Europa, studiarono il modo di avvicinarsi alle più alte montagne del circolo di Kishtwar, il Sickle Moon(6574 m) e, scalando due cime minori. Abbandonata l'idea di una salita all'Agyasol, effettuarono un trek che ancora oggi risulta irripetuto e quasi epico: in tre giorni percorsero l'Haptal Glacier e valicarono il complesso Muni La, convinti di giungere nello Zanskar. Il Chomochior Glacier li riportò invece nella Darlang Nullah; di là passarono il Poat La verso lo Zanskar per poi far ritorno a Machail dall'Umasi La. Dopo questa prima visita tutta la zona rimase chiusa ai turisti fino ai primi anni '70. Nel 1973 ebbe luogo la prima vera salita alpinistica: Nick Estcourt e Chris Bonington salirono il Brammah (6416 m). Due anni più tardi l'Indian  AltitudeWarfare School realizzò la prima salita del difficile Sickle Moon. A dispetto di queste due salite, però, tutte le cime ad est di Kishtwar furono negate agli alpinisti fino al 1976, anno in cui un gruppo giapponese tentò senza successo il Barnaj II (6300 m). La stessa squadra salì poi la quota 5130 sul lato opposto della valle. Fu questa breve salita la prima effettiva puntata alpinistica nel circolo di montagne ad est di Kishtwar.  La primavera successiva, finalmente, una grossa spedizione giapponese scalò la cresta sud del Barnaj II fino alla cima sud, di poco inferiore a quella principale (6170 m). Dopo un tentativo nel 1976, la via giapponese al Barnaj II fu ripetuta nel '79 dai britannici Paul Nunn e John Yates in stile alpino: Nel 1976 due altri britannici, Lindsay Griffin e Phil Bartlett, salirono il Maguclonne (5750 m), poco a sud del Barnaj III. Poi Griffin visitò la Chiring Nullah salendo da solo tre cime rocciose di circa 5600 m. Nel 1980 un'altra spedizione giapponese ripeté la via sul Barnaj II, ma anch'essa non riuscì a raggiungere la cima principale. Nonostante ci sia un po' di confusione con i nomi, sembra certo che ancora nessuna delle cime principali del Barnaj sia stata salita. Un'esplorazione condotta nel 1988 da Nick Kekus sul lato nord dell'Hagshu Glacier, sembrava avere rivelato una bella linea logica su neve e ghiaccio diretta ad una delle cime principali dei Barnaj, con accesso però dallo Kanskar. Il Cerro KishtwarNell'autunno 1980 una squadra del politecnico di Kingston tentò l'Agyasol. Fallito l'approccio dal versante nord, gli alpinisti concentrarono i loro sforzi sulla cresta est dal Kaban Nullah, ma dovettero desistere a 5600 metri per mancanza di tempo. L'anno successivo la via fu completata dai loro connazionali Nick Barret  e Roger Everett, che raggiunsero la cima est della montagna, separata dalla principale, poco più alta, da una complessa cresta a saliscendi. Pochi giorni più tardi la via venne ripetuta da Simon Richardson e Mike Horrop. Nel 1982 una spedizione polacca riuscì in una difficile salita all'Arjuna (6230 m). Assieme alla via alla Nord del Kishtwar Shivling (Steve Venables e Dick Renshaw in sette giorni nel 1983), l'itinerario è da considerarsi come uno dei più difficili di tutta la zona. Nel 1985 le prime salite italiane. Ferrari e Bosio giunsero in vetta all' Umasi Peak (6020 m), mentre Collini, Bosio e Ballarini scalarono il Roa Peak (5930 m), entrambi di facile accesso dall'ultimo campo trek per l'Umasi La. Nel 1986, dopo un lungo avvicinamento nella Darlang Nullah, Bob Reid e Ed Former salirono in tre giorni, dal fondovalle, il Kishtwar Weisshorn per una via di ghiaccio. Ribattezzarono la montagna col toponimo Dandagoporum (6100 m). Alla testata dell'Hagshu Nullah c'è l'Hagshu Peak (6300 m), i cui versanti sono tutti molto ripidi. Dopo un tentativo dal lato di Kishtwar, sembra che nel 1988 la montagna sia stata salita dallo Zanskar, ma non si conoscono i dettagli. Il Chiring (6100 m), ad ovest dell'Hagshu La (alcuni britannici affermano che il passo sia stato segnato dai cartografi indiani senza verificare l'effettiva fattibilità), era stato tentato e quasi salito nel 1980 da una spedizione britannica, quando Chriss Lloyd scivolò e morì sulla cresta finale. I suoi compagni salirono poi una montagna nell'Hagshu Nullah e la chiamarono Kogaya Dost (5638 m), che in indi significa "l'amico perduto". La cima sud del Chiring fu salito nel 1987 da Endy Dunhill e Roger Brooks per la cresta sud, che sulla cima rinvennero un anello di ancoraggio per la discesa a corda doppia. E' possibile che la spedizione francese del 1983, convinta di aver scalato la Shale (6135 m), abbia invece toccato la vetta del Chiring. (Presso l'Indian Mountaineering Foundation l'evento fu registrato come una salita dell'Hagshu Peak). Nel gruppo del Agyasol, il Mardi Phabrang (6062 m) è stato tentato nel 1984 per il pilastro nord est da Mark Miller, Sean Smith, Tom Curtis e Simon Richardson, ma il quartetto fu costretto a desistere per il cattivo tempo. Simon Richardson salì poi da solo la cima nevosa del Tupendo II (5600 m) per la cresta sud. Un altro tentativo britannico al pilastro nord est del Mardi Phabrang risale al 1986: anch'esso fu frustrato dal maltempo nella seconda metà di settembre. Nel 1988 due dei più assidui frequentatori della zona, Simon Richardson e Roger Everett, dopo alcuni viaggi per portare il materiale alla base, salirono in stile alpino il Chomochior (6322 m). Nel 1991 il "patagonico" Cerro Kishtwar ha conosciuto i tentativi del team britannico guidato da Andy Mac Nae's e l'ostinato attacco di Brendan Murphy e Andy Perkins. Questi ultimi rinunciarono a soli 100 metri dalla cima dopo ben 12 giorni consecutivi di parete: avevano esaurito del tutto cibo ed energie su difficoltà di ghiaccio e misto assai elevate. Sempre nel '91, John Barry e John Romo effettuarono un tentativo nel canale nord dell'Hagshu Peak, fallito per il cattivo tempo. Nel 1988 Carl Schaschke e Jeff Knight salirono lo spigolo est del Kalidahar Main Peak (5900 m) per una via di ghiaccio e misto, mentre Conrad Anker e Kevin Green aprirono sulla Kalidahar Spire una via di roccia (15 lunghezze 6A e A2) lungo lo spigolo nord. Meno fortunati, Geoff Hornby e Tom Norris: sulla parete nord ovest della stessa montagna, dopo 22 lunghezze, furono costretti a fare marcia indietro per via di alcune lame instabili. Nel 1989 una spedizione britannica ha tentato quella che rimane la cima più alta (e ancora non salita) della zona: la Quota 6400, al di là del Chomochir Glacier. E finalmente arriviamo al 1992. Lo scorso anno nella zona hanno operato tre spedizioni, due italiane ed una inglese, tutte agli inizi di settembre. Un periodo che dal Kashmir e dal Pakistan verrà ricordato per la disastrosa alluvione che ha provocato migliaia di morti e la distruzione di villaggi, strade e canali. Il gruppo italiano composta da Paolo Vitali, Pierangelo Tentori, Sonja Brambati ed Adriano Carnati ha risalito il canale sotto la parete est del Kishtwar Shivling. Il tentativo al pilastro est è stato arrestato da 18 giorni di nevicate continue. Prima di lasciare il campo base all'alpeggio di Bugjan, i lecchesi hanno comunque portato a termine una veloce ascensione su una montagna ancora da scalare, sul versante opposto della valle. La quota rilevata sulla cima è di 5600 metri, il nome proposto Bugjan Peak. La sua parete sud ovest presenta una via su ghiaccio con inclinazione superiore a 50°-60° ed un dislivello di 900 metri. Il gruppo inglese è stato più sfortunato: portata a compimento la seconda ripetizione del Tupendo II (5600 m), un componente della spedizione si è fratturato gravemente una gamba durante un tentativo al Tupendo I (5700 m), denominato anche Druid. Gli alpinisti sono stati costretti ad una difficoltosa ritirata dai 5500 metri di quota. Dopo un primo tentativo al Druid (o Tupendo I) arenatosi a 5400 metri, l'altro gruppo italiano (Lorenzo Meciani, Giovanni Rosti, Luca Crepaldi) ha ripetuto a sua volta la salita del Tupendo II, a questo punto ormai una classica.
 
Mappa topografica della regione del Kishtwar

I PERCORSI

Fagmiglia di pastori all'alpeggio di BugjianA est di Kishtwar: notizie utili per chi visita la regione 
Come per tutti i viaggi in India , il punto di partenza è Delhi. Numerose compagnie aeree effettuano voli da Milano o Roma verso Delhi . Da Delhi ci sono due possibilità: volare a Srinagar, e da qui con un solo giorno in autobus raggiungere Kishtwar (24o km. 14 ore), oppure noleggiare un mini bus a Delhi e raggiungere Kishtwar via Jammu in due giorni (540 km in tutto). La soluzione di volare a Srinagar è sicuramente consigliabile solo se non si hanno problemi di sovrappeso col bagaglio se la situazione politica del Kashmir non è incandescente (cosa ultimamente non facile...) Esiste anche la possibilità di raggiungere Jammu con treno od aereo, ma si ripropone il problema del trasporto bagagli. A Kishtwar si possono completare le spese nei negozietti della via principale, ma occorre tenere presente che ne a Delhi  ne a Kishtwar si riesce a trovare carne in scatola o secca, e manca ogni genere di cibi liofilizzati. A Delhi abbiamo sempre alloggiato all'Hôtel Sofitel Surya e a Jammu all'Hôtel Jammu Asia Tawi; si tratta di strutture di un certo lusso (per lo standard indiano) e risultano preferibili ad altri di categoria inferiore almeno per il viaggio di andata, in modo da potersi abituare gradualmente ai cibi ed all'igiene indiani. A Kishtwar esiste un solo albergo decente all'inizio del paese e un ostello per turisti dove è possibile pernottare, il Tourist Reception Center. Da Kishtwar si prosegue su una strada sterrata sconnessa per 65 km fino ad Atholi. Difficilmente il bus utilizzato da Delhi a Kishtwar sarà in grado di percorrere questo tragitto; occorrerà quindi noleggiarne uno più piccolo e robusto, oppure utilizzare il pullman di linea (2-3 corse giornaliere). Se a Delhi non ci si è appoggiati ad un'agenzia per gli spostamenti in bus e l'organizzazione dei cavalli, occorre provvedere a Kishtwar oppure ad Atholi. Per il secondo anni consecutivo noi abbiamo usufruito dei servizi di un'agenzia di Delhi (Ruck Sack Tours Pvt. Ltd., B-45 Som Dat Chambers I, 5 Bhikaiji Cama Place, New Delhi110-066, tel.009111/6883696-673717, telex 31-72117 Sack In, fax 6874377-67637). Con una cifra ragionevole, l'agenzia è anche in grado di procurare un cuoco e la tenda cucina per l'intero periodo. La Ruck Sack ha anche degli appoggi a Srinagar nel caso si decidesse di passare di la, e potrà inoltre fungere da valido tramite con l'IMF (Amministrative Officier Indian Mountaineering Foundation, Benito Juarez Road Opp. Anand Niketan, New Delhi 110021).Far da se in lodo anziché appoggiarsi ad un'agenzia potrà far risparmiare qualche dollaro, con l'handicap di perdere però alcune giornate per organizzare cibo, spostamenti e cavalli. Per il ritorno dal campo base con cavalli e cavallanti, ci si può arrangiare da soli, ma se si preferiscono date fisse e trasporti sicuri, è meglio rivolgersi ancora all'agenzia.
In prossimità della cima del Bugjian PeakTrek, avvicinamenti e suggerimenti alpinistici. Ecco il trek per il Kishtwar Shivling e alcuni altri avvicinamenti: cartina alla mano potranno essere di riferimento anche per programmare altre escursioni. A proposito di carte topografiche: abbiamo riscontrato che tutte le quote riportate dalle carte indiane risultano maggiorate, talvolta anche di alcune centinaia di metri; per l'Indian Mountaineering Foundation, la cosa significa qualche centinaio di dollari in più per ogni permesso rilasciato. Nella nostra descrizione riportiamo le quote da noi rilevate con due altimetri tarati a Kishtwar (1634 m). 
Da Atholi al campo base del Kishtwar Shivling Da tre a cinque giorni in tutto, il trek si svolge in un ambiente interessante e vario, toccando villaggi e coltivazioni. 
Prima tappa: Atholi (1860 m) - Chishoti (2390 m) Sviluppo:16 km . Tempo: 8 ore con i cavalli. E' la tappa più lunga del tragitto, e può anche essere spezzata in due giornate. Attraversato il Rio Chenab su un ponte di recente costruzione e poi su un altro più vecchio, si segue un sentiero ben tracciato nella Bhut Nullah, con paesaggio vario ed interessante. Si alternano campi coltivati in prossimità di caratteristici villaggi a belle foreste "alpine" con alcuni tratti suggestivi nelle vicinanze del fiume. Numerose le possibilità di accamparsi: nei pressi di una piana formata dal fiume poco prima di Chishoti, oppure subito dopo il paese nelle vicinanze di una costruzione denominata Forest Rest House. Su tutto il tragitto non vi sono grossi problemi per reperire "acqua pulita". Le fonti sono numerose, e la poco nei paesi si è cominciato a convogliare l'acqua pulita in spartani sistemi di tubazioni. In ogni caso è sempre consigliabile potabilizzare l'acqua. 
Seconda tappa: Chishoti (2390 m) - Machail (2800 m) Sviluppo: 10 km. Tempo: 3.30 ore con i cavalli. Tappa breve su terreno aperto. Dopo Atholi, Machail è il villaggio principale della zona. Quì c'è ancora la possibilità di comperare del cibo: riso e verdura fresca. Ma è bene non farvi troppo affidamento. Nell'abitato si incontra un posto di polizia: se al proprio passaggio si incontra il funzionario, occorre farsi registrare. A Machail esiste anche un tipico "gompa" indù. Poco oltre il villaggio vi è un ottimo ripiano per campeggiare. Considerata la brevità della tappa, nel corso della sosta pomeridiana è vivamente consigliabile visitare il villaggio di Losani, oltre il fiume, con il caratteristico "gompa" buddista. 
Terza tappa: Machail (2800m) - Sumcham - Bugjan (3300 m). Sviluppo: 15 km. Tempo: 6 ore con i cavalli. Originariamente pensata per due tappe, può tranquillamente essere percorsa in un solo giorno pagando però le due giornate previste ai cavallanti. Due o tre chilometri dopo Machail si piega verso sinistra (sulla destra prosegue la Valle di Darlang Nullah) e si raggiunge in breve Sumcham. Già in questo tratto si possono scorgere le prime grandi montagne: l'Agyasol e l'aguzza punta dello Shivling. Poco dopo Sumcham si supera un dosso oltre il quale si estende una lunga piana con numerosi alpeggi. Se si riesce a far guadare ai cavalli il corso d'acqua che scende dall'Hagshu Nullah, si potrà porre il campo base alla fine della piana, a Bugjan.
Panorama verso est dalla cima del Bugjan PeakVerso il pilastro est del Kishtwar Shivling. All'altezza degli alpeggi di Bujwas e Bugjan, sulla sinistra orografica si dipartono le vallate che portano rispettivamente ai versanti nord ed est del Kishtwar Shivling. Sul versante nord esiste una via dei britannici Steve Venables e Dick Renshaw; sul versante est, obiettivi papabili sono lo spigolo nord est, lo strapiombante pilastro est e lo spigolo sud est. Per accedere al versante est, da Bugjan si attraversa il fiume (una volta esisteva un piccolo ponte poi travolto da una valanga; ora non resta che sperare nel conoide della stessa, altrimenti ci si dovrà organizzare per allestire una breve teleferica) e si risale il ripido prato oltre la prima valletta da cui scende il corso d'acqua del ghiacciaio. Oltrepassata la cresta (3900 m) dove c'è la possibilità di allestire un deposito sotto alcuni massi (attenzione ai roditori), ci si inoltra sul ghiacciaio verso destra per portarsi nel canale (numerosi i crepacci ma non particolarmente problematici), e da qui ci si porta alla base di una seraccata che consente l'accesso alla parte terminale del canale (4500 m). Noi abbiamo superato la seraccata sulla sinistra, in un punto non toccato dal sole, cove resiste un debole conoide. Il punto di passaggio è leggermente al di fuori delle scariche, ma non è il caso di attardarsi troppo. Si risale il canale solcato da numerose rigole fino ad un evidente ripiano buono per piazzare le tende (4900 m). Di qui si accede in breve al vero e proprio pilastro est. Proseguendo per il canale, ora più ripido, si può inoltre raggiungere la base dello spigolo sud est.
Verso la parete sud ovest del Bugjan Peak. Da Bugjan, ultimo alpeggio raggiungibile con i cavalli si prosegue in direzione della vallata che porta all'Umasi La (il primo ampio solco che si apre sulla destra orografica). Prima di questa si dipartono strette vallette a prima vista poco percorribili e molto ripide. In quella centrale delle tre, solcata da un piccolo ruscello, vi è una tenue traccia che in breve porta ad un capanno di pastori posta sui pendii molto ripidi. Dal capanno si prosegue ancora per la cresta su terreno scosceso fin quando questa si abbatte per lasciare spazio a un minuscolo ripiano che ospita l'ultimo alpeggio. Si procede quindi decisamente in obliquo verso sinistra su prati e morene risalendo l'ampio vallone sottostante il Bugjan Peak. L'unico buon ripiano per piazzare la tenda è situato all'inizio del ghiacciaio (4700 m, 4 ore da Bugjan). Tutto l'avvicinamento e il meglio della parete stessa sono ben visibili dai pratoni sottostanti il canale della parete est del Kishtwar Shivling; una veloce salita di quest'ultimi potrà servire da acclimatamento ed orientamento. 
L'Hagshu PeakLa parete sud ovest del Bugjan Peak. La parete sud ovest del Bugjan Peak (5600 m) non presenta grosse difficoltà tecniche, e oppone un'inclinazione fino ad un massimo di 50°-60°, può rappresentare un problema solo in caso di ghiaccio vivo o neve troppo abbondante ( a noi è toccato il secondo caso). Dalla base del nevaio si supera la prima fascia di rocce sulla destra per poi portarsi con un lungo traverso sotto il limite sinistro della parete. In questo tratto si cammina sotto il tiro di un grande seracco spiovente ma dall'apparenza abbastanza sicuro. Di qui si sale sempre dritti passando a destra delle due fasce rocciose sporgenti fino a giungere in cresta. A questo punto, in poche decine di metri si giunge sulla sommità (attenzione alle cornici: l'altro versante della montagna è verticale e strapiombante). 
Da Bugjan verso l'Umasi La e oltre. Dopo Bugjan la prima valle che si apre sulla destra orografica è percorsa da un impetuoso torrente e da un ripido sentiero, frequentato da trekker, portatori e yak ma non più percorribile dai cavalli. Cinquecento metri di dislivello separano Bugjan dalla bella  piana di Ritimadan (3800 m). Oltre questo punto occorrono condizioni meteorologiche abbastanza buone per procedere orientandosi sul ghiaccio. Se lo si desidera, si può ingaggiare una guida nei villaggi, compreso Sumcham, per valicare l'Umasi La. Quasi tutti i gruppi di trekker mettono il campo a Ritimadan; di qui alcuni valicano il passo in giornata e poi si abbassano in Zanskar per evitare una notte in quota  prima del passo. Da Ritimadan una faticosa morena conduce al lungo ghiacciaio che va risalito sulla sinistra fino ad una seraccata. La si evita percorrendo le ripide morene alla sua sinistra ( a monte di questa , intorno a 4750 m, vi è la possibilità di bivaccare sotto un caratteristico tetto roccioso). Se non sono sepolti dalla neve alcuni ometti segnalano il proseguimento e aiutano ad aggirare alcuni semplici crepacci per raggiungere la conca sovrastante il ghiacciaio. Leggermente sulla sinistra della cresta che chiude la vallata si nota la depressione del Umasi La (5100 m). La discesa in Zanskar comincia con un ripido nevaio e prosegue per alcuni chilometri su ghiacciaio. Al termine di quest'ultimo, si continua sulla sinistra fino ad attraversare il torrente generato dal ghiacciaio stesso. nei pressi del corso d'acqua è possibile montare il campo nella zona di Nabil, oppure proseguire lungo il sentiero sconnesso fino a circa metà vallata, giungendo ai pascoli di Guaba (3800 m). Di qui il sentiero conduce al monastero di Zonkhul e al villaggio di Ating. Per la descrizione dettagliata del proseguo in Zanskar, ci si può rifare alla guida di Marco Vasta "Ladakh-Kashmir-Zangskhar" (vedi bibliografia). 
Panorama a est del Bugjan PeakL'Haptal Glacier. Se avete intenzione di ritrovare e valicare il Muni La sulle orme di Fritz Korb, oppure se le cime dei vostri sogni sono il Chomochior e il Cerro Kishtwar o l'inaccessibile Nord del Dandagoporum, dovrete necessariamente percorrere il complesso Haptal Glacier. Il nostro consiglio è quello di porre un primo campo base a Bugjan e di qui ingaggiare dei portatori per spostare il materiale oltre la faticosa morena che ricopre il ghiacciaio. Da Bugjan si attraversa il fiume che scende dall'Umasi La (scompare sotto il terreno per una cinquantina di metri poco prima del fondovalle) per portarsi su due caratteristiche crestine, che in breve conducono ad una sottile striscia  erbosa e pianeggiante, sopraelevata sul lato destro (orografico) dell'Haptal Glacier. Negli ultimi spiazzi erbosi si può piazzare il campo (con i portatori, calcolare 4 ore); uno di questi ospita ancora un alpeggio con baita. A questo punto si può scegliere. La valle successiva al torrente dovrebbe condurre al Muni La. Si prosegue sulla destra orografica e, abbassandosi sul ghiacciaio,  si possono raggiungere prima l'ice fall che porta al plateau sottostante la Nord del Chomochior e poi due ice fall consecutive che costituiscono l'accesso per il Cerro Kishtwar. Se invece di vuole tentare la Nord del Dandagoporum, si deve attraversare l'Haptal Glacier per poi cercare la chiave d'accesso attraverso una complicata serie di ice fall dall'aspetto veramente severo. 
L'Hagshu Nullah. La vallata è molto bella: dapprima stretta e con il fiume impetuoso che rumoreggia tra grandi massi , poi molto ampia e con un bel pianoro dove il fiume si distende e forma anse sabbiose. Fa da costante retroscena l'imponente parete nord del Kishtwar Shivling. La vallata può rappresentare la meta di chi vuole "provare" l'Hagshu La per recarsi nello Zanskar, oppure per gli alpinisti attratti dall'Hagshu Peak, dal Chiring e dal Klogaya Dost. Altre cime inviolate si innalzano dai ghiacciai che terrazzano il lato sinistro (orografico) della valle. Il versante meglio percorribile della vallata è quello destro orografico, con una traccia sufficientemente buona fino alla piana; da là in poi occorre cercare la via migliore sulla lunga morena. Fino alla piana possono probabilmente arrivare anche i cavalli, ma oltre serviranno i portatori. Da Sumcham alla piana nel mezzo dell'Hagshu Nullah bisogna mettere in conto 4-5 ore di marcia con i portatori; il posto è molto bello per un campo. Sulla lunga morena che segue occorre cercarsi il posto adatto per un campo. 
Il Cerro KishtwarLa misteriosa Darlang Nullah. Bella e interminabile. Mentre si percorre la Darlang Nullah si ha continuamente l'impressione di svoltare da un momento all'altro l'angolo che rivelerà grandiose cime. Nei pressi del minuscolo abitato poco dopo Dangel, c'è l'ultimo ponte che abbiamo potuto scorgere. E' bene perciò incamminarsi sul lato della valle dov'è il proprio obiettivo sin dall'inizio, onde evitare guadi azzardati. Noi abbiamo percorso la valle solo fin poco dopo l'alpeggio di Tilput Got, sul lato sinistro. Oltre Tilput Got, la traccia risulta abbastanza difficile da seguire; alcune carte riportano una traccia di sentiero sull'altro lato della valle. Obiettivi di rispetto in questa vallata sono: un trek attraverso il Poat La, magari in congiunzione con il Muni La per ripetere il tragitto di Fritz Korb, la sud del Dandagoporum, le pareti rocciose del Kalidahar  Spires, la Quota 6400 (massima elevazione della zona, non ancora salita); tutte le cime inesplorate in fondo alla valle in direzione del Poat La , le grandiose pareti granitiche che costeggiano il ghiacciaio verso il Muni La e...chi più ne ha più ne metta.
Il famigerato Kaban La Valicato abbastanza di rado, il Kaban La ha messo in crisi anche alpinisti famosi, grandi conoscitori della regione. Nonostante la sua quota, inferiore all'Umasi La, il colle non è da prendere sottogamba. Qualche locale che lo abbia gia percorso e che faccia da guida potrebbe essere molto utile. Da Atholi si attraversa il primo ponte, poi, anziché attraversare il secondo per immettersi nella Bhut Nullah, si segue, dapprima su una sterrata in costruzione, il corso del Chenab River sulla destra orografica. Dal paese di Schol ci si immette nella Kaban Nullah, in direzione dell'abitato di Kaban. Il sentiero è quasi sempre molto erto e, pur essendo percorribile dai cavalli, consigliamo di assoldare direttamente dei portatori per evitare scioperi e rifiuti (gia verificatisi per altre spedizioni) da parte dei cavallanti. Circa quattro giorni sono necessari per raggiungere il passo ma, come gia detto in principio, consigliamo una guida, non avendolo percorso personalmente e non potendo quindi fornire informazioni dettagliate. La parte più complessa del percorso sembrerebbe la discesa verso la Darlang Nullah (dove potrebbe essere indispensabile l'uso di piccozza e ramponi); di qui in 2 - 3 ore si raggiunge Dangel e quindi Losani e Machail, sul sentiero dell'Umasi La. Nel bacino del Kaban La è stato più volte ripetuto  il Tupendo II (5600 m), cima nevosa senza grosse difficoltà, mentre attendono ancora la prima salita montagne difficili come il Mardi Phabrang, il Druid (o Tupendo I) o il Corner Peak. 
E per finire qualche informazione utile. La meteorologia. Nonostante la regione sia situata ai limiti d'influenza dei monsoni, il tempo risulta molto spesso perturbato, è difficile individuare un periodo davvero propizio per le spedizioni. Parecchi gruppi hanno sofferto fino a tre settimane consecutive di precipitazioni, mentre i più fortunati hanno potuto godere anche di due settimane senza una nuvola in cielo. Per le salite alpinistiche è consigliabile il periodo estivo: giugno, luglio, agosto; poche spedizioni finora hanno scelto la primavera, forse per la troppa neve residua dell'inverno. I locali indicano giugno e luglio come i mesi migliori, mentre reputano agosto un po' più pazzerello. Settembre teoricamente dovrebbe essere un buon mese, ma a noi, come ad altre spedizioni britanniche in anni diversi, sono toccate tre settimane di nevicate e temperature rigide. Alcune spedizioni hanno operato anche in ottobre, ma l'autunno è consigliabile solo per le salite su ghiaccio e misto, poiché la temperatura e le giornate brevi non permetterebbero salite tecniche su roccia. La roccia. Morfologicamente molto complessa, la regione presenta roccia differente in ogni gruppo montuoso. Nel gruppo dell'Agyasol prevale lo gneiss, il Dandagoporum è costituito da micascisti, il Cerro Kishtwar è un granito compatto, mentre la costiera che comprende lo Shivling è composta da rocce laviche con prevalenza di granito. Pure di granito, ma con struttura a lastre e blocchi, è il gruppo delle Kalidahar Spires. Attualmente le salite tecniche su roccia nella regione sono davvero poche: finora sono state percorse quasi esclusivamente le linee più logiche su ghiaccio e misto. Altri consigli, altre idee. Cominciamo dai trek. Numerose sono le possibilità e combinazioni, a partire dal classico Umasi La, valicato in entrambi i sensi da numerosi gruppi  nell'arco dell'anno. Si presta molto bene ad essere abbinato a un trek nello Zanskar e al successivo viaggio in Ladakh. Rimanendo nell'ambito delle montagne di Kishtwar, si può percorrere il Kaban La, un po' complesso, dove l'uso della piccozza e un po' di nozioni alpinistiche possono essere utili nella discesa verso la Darlang Nullah. Una bella combinazione di sicura soddisfazione potrebbe essere il percorso in successione di Kaban La ed Umasi La. Più avventuroso perché meno sicuro e mai (o quasi mai) percorso, l'Hagshu La rappresenta un' altra possibilità per passare dalla regione  di Kishtwar allo Zanskar. Per i trekker più arditi rimane da ripetere il tragitto di Fritz Korb attraverso Muni La, Poat La ed Umasi La. Per quanto riguarda l'alpinismo non c'è che da scegliere. Dalla ripetizione di una delle poche vie gia salite, alla risoluzione di qualche problema gia evidente, alla scoperta di nuove pareti e possibilità La Sud del Tupendo II o del Dandagoporum e la Sud Ovest del Bugjan Peak offrono salite sicure su neve e ghiaccio, veloci e di soddisfazione, con un ottimo panorama sulle montagne circostanti e un bel trek per l'avvicinamento. Se ci si vuole cimentare su qualcosa di più impegnativo con ghiaccio e misto, l'Hagshu Peak, l'Agyasol, La Nord dello Shivling sono là che aspettano. Se invece si cerca la cima "vergine" basta puntare l'indice sulla cartina: Tutte le vette dei Barnaj sono ancora da calpestare; molte guglie che spuntano dai ghiacciai dell'Hagshu Nullah sono in attesa di essere esplorate; grande impegno tecnico e fisico richiederà la prima salita del Cerro Kishtwar o delle guglie patagoniche alla sua destra. Nel circolo del Kaban La, le molte guglie mai salite potrebbero stuzzicare l'appetito a partire dal Druid (paragonato dai britannici al Petit Dru). Ma non bisogna dimenticare  il grande problema gia tentato: il Mardi Phabrang che, assieme alla Quota 6400 nella Darlang Nullah e al pilastro est del Kishtwar Shivling, è al momento uno degli obiettivi di maggiore rilievo della zona.
Libri e carte. La cartografia della zona è veramente scarsa e di pessima qualità: senza curve di livello, imprecisa e con nomi e quote spesso errati. Sulle mappe indiane (lo abbiamo gia detto) le quote sono sempre maggiorate, anche di alcune centinaia di metri. in genere ogni libro che descrive dei trek in queste zone riporta una sua cartina, ma spesso vengono illustrati solo i luoghi toccati dagli itinerari. Una carta abbastanza completa è quella delle Edizioni Leoman Maps (secondo foglio, Indian Himalayan Maps "Jammu and Kashmir, Kargil, Zanskar & Nun Kun Area") in scala 1:200.000. In questa monografia si è cercato , nei limiti del possibile, di ridisegnare una cartina topografica della zona con una scala approssimativa 1:350.000 raccogliendo i dettagli dalle carte in nostro possesso e integrandole con le rilevazioni in loco. Per raggiungere Kishtwar una carta dell'India sufficientemente dettagliata è quella  della serie "Nellas Maps" India I North, scala 1:500.000. Indicazioni utili su queste regioni, usi, costumi etc. si trovano nel libro in lingua italiana di Marco Vasta "Ladakh, Kashmir, Zangskhar (Ed. Calderini Bologna 1988), che tra l'altro raccoglie informazioni su alcuni dei più famosi trek. Le uniche notizie alpinistiche sulla zona devono essere tratte dai numeri dell'annuario inglese "Alpin Journal", che riporta spesso articoli di zone sconosciute dell'Himalaya indiano a cura di Harish Kapadia; il numero del 1989-90 contiene anche interessanti scritti di alpinisti britannici, tra cui " A peak - Bagger's guide to the eastern Kishtwar" di Simon Richardson, basilare per la storia della regione. Altre informazioni sono pubblicate a cura dell'"Himalaya Journal" (volumi 37, 40, 44, 45, 46, articoli e foto), di difficile reperibilità in Italia. I libri sulla zona sono: "Painted Mountains" di Steve Venables  e "Exploring the hidden Himalaya" di Harish Kapadia & Sadi  Mehta.