Intervista
a Sonja, di Roberto Serafin.
Alp n. 146
- giugno
1997
LA
MONTAGNA: AMORE A PRIMA
VISTA
Sonja: donna e
alpinista. La sua passione, la sua attività'
di esploratrice e la sua vita sulle pareti del mondo legata a Paolo
Vitali,
marito e primo di cordata. Dopo le recenti polemiche con il celebre
gruppo
dei Ragni di Lecco, l'ex "donna-ragno" spiega le sue posizioni.
Photo
di Umberto Isman.
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E' stato amore
a prima vista. Per la montagna e per Paolo
Vitali, suo marito e compagno di tante scalate sempre al limite. Una
tela,
quella tessuta da Sonja Brambati, dal 1992 prima "donna-ragno" nella
storia
dei celebri rocciatori della Grignetta, che non sembra temere strappi.
E nemmeno ha l'aria di dover subire l'affronto della crisi del settimo
anno di matrimonio: un'altra vetta, fra le tante in una ricchissima
carriera
arrampicatoria, che i due stanno per raggiungere di conserva mentre
intorno
ancora non si placa la burrasca per le famose dimissioni anti-sponsor
presentate
alla fine del '96 al direttivo dei Ragni.
Istintiva,
caparbia, ma
anche riflessiva e condiscendente
il tanto che basta per assecondare un compagno alpinista
tendenzialmente
controcorrente, Sonja e' facile incontrarla, quando arriva la stagione
delle grandi arrampicate, al Hotel Qualido: in realtà una baita
che si raggiunge, in Val di Mello, in pieno regno del granito, con
un'ora
e mezzo di arrampicata sui sentieri dei Melat. Alzando gli occhi,
cinquecento
metri di placconata sono un invito a sbizzarrirsi in una miriade di
nuovi
itinerari, alcuni dei quali aperti con la complicità di un amico
fraterno come Franz Carnati e un mito come Gianni Rusconi che è
stato loro testimone di nozze. Vie aperte dapprima con una certa
mentalità
- meno spit metti, meglio è - che poi a giudizio dei due Vitali
si è evoluta grazie al posizionamento di spit in sosta e ad un uso
più' accorto del trapano per aprirsi la strada dal basso in barba
alle filosofie da kamikaze."Molte volte mi chiedo dove stia oggi il
confine
tra determinazione e incoscienza o irresponsabilità" dice Paolo.
Un'etica perfettamente condivisa da Sonja, consapevole che gli spit
vanno
usati dove la conformazione della roccia non permette il ricorso a
protezioni. |
"Sono convinta",
dice, "che l'ambiente alpinistico ha
sempre premiato questo genere d'incoscienza". L'avventura a suo avviso
non viene comunque compromessa. Provare per credere. Ma l'avventura,
loro
due, hanno scelto di viverla anche affrontando le conseguenze non del
tutto
piacevoli, dello strappo dai Ragni, proprio il giorno, in dicembre, in
cui il Comune di Lecco assegnava al mitico gruppo (97 elementi: 37 soci
attivi, 49 effettivi, 10 onorari, 29 defunti) la benemerenza cittadina
per i 50 anni di attività alpinistica sulle più celebri vette
del mondo.
Con altri sei (Dario
Spreafico, Marco Ballerini, Floriano
Castelnuovo, Norberto Riva, Maurizio Garota e Umberto Villotta) hanno
sottoscritto
l'ormai celebre lettera di dimissioni (accettate) un cui denunciano la
"decisa involuzione" del gruppo, i "parametri con i quali viene
accettata
l'attività di alcuni nuovi soci", la scelta di attività che
"danno solo un veloce ritorno d'immagine", "una chiara reticenza a
mantenere
il gruppo vicino alla realtà dell'alpinismo contemporaneo", le attività
"simpatiche e goliardiche" promosse in occasione del cinquantesimo
anniversario
dei Ragni, "il solito giochetto di mischiare l'obiettivo alpinistico
con
quello pseudo-scentifico" e, dulcis in fundo, "lo scadimento verso
quelle
che oggi vengono definite spedizioni commerciali".
Hanno
suscitato com'era prevedibile reazioni piuttosto risentite soprattutto
sul versante della scienza: dove si obietta, a proposito delle ricerche
sul K2, che progetti per i movimenti crostali vengono svolti in tutto
il
mondo e in particolare nelle zone orogenetiche. Quelle degli otto
dissidenti,
replicano gli scienziati, sono accuse vergognose e grottesche. Il
progetto
sull'evoluzione geodinamica delle più alte cime della catena himalayana
è stato approvato dal Centro nazionale delle ricerche (C.N.R.) nel
'90, finanziato dalla C.E.E. e nel '94 dal C.N.R. con un contributo di
modesta entità. Tra i consensi da segnalare le parole di Silvia
Metzeltin, già presidente della Commissione spedizioni dell'Uiaa,
in un articolo sulla Rivista del C.A.I. La Metzeltin considera lo
"strappo"
come il segno di un disorientamento profondo nell'ambito
dell'evoluzione
dell'alpinismo di punta, esposto a pressioni di ogni genere. Forse
nessuno
si aspettava che esplodesse una mina di questa portata proprio nel
cinquantenario
dei Ragni di Lecco, la cui storia viene raccontata da Alberto Benini in
un sontuoso volume pubblicato da Vivalda. La tela non è tuttavia
del tutto strappata, come dimostra questa conversazione con Sonja
Brambati
nella sua accogliente casa di Ballabio, a due passi da Lecco. E
l'atteggiamento
del presidente dei Ragni Pinuccio Castelnuovo del quale abbiamo
raccolto,
a caldo, alcune dichiarazioni tutt'altro che bellicose.
Mai
frequentato, Sonja, delle scuole di alpinismo?
"Mai, assolutamente.
Ho preferito andare con gente che
ci sapeva fare, imparando da .loro. Credo che sia un sistema
altrettanto
valido".
Certo che da
tuo marito ne avrai avute di cose da imparare....Com'è
cominciata?
"Davanti
a una focaccia nel bar della Cornelia, ai Piani Resinelli. Una tappa
obbligata
per chi va a scalare nelle Grigne. In un andirivieni di brioches,
panini,
cappuccini, si fanno progetti e soprattutto si conosce gente".
Amore a
prima vista?
"Be', non esageriamo.
Ho sempre avuto il dubbio che se
Paolo non avesse saputo che io andavo in montagna, che facevo
arrampicate,
se ne sarebbe guardato dal telefonarmi. Con questo non intendo dire che
il nostro sia stato solo un matrimonio ......d'interesse".
Di lui avevi
mai sentito parlare nell'ambiente arrampicatorio?
"Mai, posso
assicurarlo".
E come è
andata la prima volta che vi siete
messi in corda?
"Difficile ricordare.
Il primo anno che stavamo insieme,
del resto, io ero molto impegnata come volontaria in Croce Rossa e la
domenica
ero quasi sempre occupata. Abbiamo cominciato d'inverno facendo
scialpinismo.
Particolare importante. Io non sapevo sciare, e ho dovuto mettercela
tutta
per seguirlo nei week-end. Un vero massacro, ma ho tenuto duro. Ormai
ero
lanciata. Finito l'inverno sono cominciate le arrampicate in falesia, e
lì la musica è cambiata".
Finalmente
ti sentivi a tuo agio?
"S, ma non c'era
tanto da rallegrarsi. Quando i suoi amici
ci hanno visto arrampicare insieme mi hanno messo in guardia. Non
sapevo,
mi dicevano, a che cosa andavo incontro!".
Non ti è mai
passato per la testa che, alla
peggio, lo avresti aspettato con infinita pazienza ai campi base, come
tante altre pur ammirevoli Penelopi, compagne di alpinisti anche famosi?
"No, proprio non ce
l'avrei fatta a fare la vita di una
Goretta Casarotto. O legata alla sua corda o niente, mi sono detta. Ma
poi tutto è avvenuto in modo naturale. E anche logico. E la logica
era che avrei accettato tutto del suo alpinismo, piuttosto che restare
a casa ad aspettarlo".
Ripensandoci,
è stato soltanto l'amore che ti
ha spinto a farlo?
"No, c'era anche una
buona dose di caparbietà com'è
nel mio carattere. Ho visto tante ragazze come me andare forte e poi
stufarsi,
mollare tutto. Ma non fraintendiamo. Io sono una persona normale. Le
prime
volte che andavo con Paolo non ero in grado certo di fare quello che
faccio
adesso. Tutto è avvenuto in modo graduale".
Come può
essere quantificato il tuo contributo
all'apertura di tante vie nuove, in genere su placca?
"Certe volte, lo
ammetto, mi sento nei confronti di Paolo
come un fedele e scodinzolante cagnolino. Quando si tratta di aprire
una
via nuova le idee sono sempre sue. Ma io so di dargli una certezza:
quella
che sono sempre al suo fianco. Quindi gli risparmio lo stress di
doversi
andare a cercare un socio, impresa non sempre facile con le idee che
gli
frullano per la testa. Prima che arrivassi io, lui aveva tanti progetti
che non riusciva a realizzare perché nessuno lo assecondava. E in
questo io oggi mi sento in qualche modo insostituibile. Dedicarsi
all'apertura
di nuove vie significa anche passare ore e ore inattivi, provando e
riprovando
un passaggio mentre intorno c'è tanto da arrampicare e da divertirsi.
Che tipo di marito è lui? Non cos' burbero come sembra. Ma neanche
prodigo di complimenti. Del resto, con l'indole che mi ritrovo, è
meglio punzecchiarmi che blandirmi. Ma posso assicurare che
l'affiatamento
tra noi è ideale sotto tutti i punti di vista".
Sarebbero
cambiate senza il tuo arrivo le prospettive alpinistiche di Paolo?
"Se avesse trovato
una persona sprovvista della mia passione,
forse avrebbe dovuto porsi dei limiti, fare quelle scelte di coppia che
si basano sempre su compromessi. Senza contare che noi abbiamo deciso
di
comune accordo, almeno per ora, di non avere figli".
Fare parte
di un'élite alpinistica è
gratificante?
"Davvero appartengo a
un'élite? Non lo credo proprio:
come me ci sono in giro tante altre persone in gambissima".
Ciononostante
alcune vostre realizzazioni sono paragonate
alla celebre via "Tempi moderni" della coppia Jovane-Mariacher. Che
cosa
senti davvero di avere in comune con questi esimi colleghi?
"Sento soprattutto di
essere profondamente diversa dalla
Jovane. Nel senso che lei è una vera fuoriclasse".
In realtà
voi vi siete orientati verso una specializzazione:
l'apertura di vie nuove su placca, e a quanto risulta con un uso
davvero
disinibito del trapano. E' dunque sparita dalla scena, a tuo avviso, la
figura dell'alpinista completo?
"Per quanto ci
riguarda, pensiamo di fare alpinismo a
tutto campo. Vuoi saperne una? Da novembre ad aprile appendiamo le
scarpette
al chiodo e facciamo scialpinismo. Prima di tornare in montagna, poi,
nella
tarda primavera, ci dedichiamo alla falesia. E in montagna d'estate non
ci limitiamo ad aprire vie nuove, ma siamo spesso su vie classiche o
moderne.
Anche il ghiaccio è nelle nostre corde, però non sempre è
possibile tenete il piede in dieci scarpe diverse. Vincolare la nostra
immagine ad una specialità come l'arrampicata in placca mi sembra
francamente riduttivo. L'arrampicata è comunque una parte
dell'alpinismo,
non è tutto".
Come
giudichi gli alpinisti a tempo pieno, che passano
la loro vita ad organizzare spedizioni e a cercare sponsor?
"So che anche Paolo
ci aveva pensato, quando a 19 anni
fece la sua prima esperienza in Patagonia. Poi si è trovato per
fortuna un posto in I.B.M., anche se la routine in un primo tempo gli
pesava.
L'alpinismo è importante, ma non c'è solo questo nella vita.
Di una cosa sono convinta. La maggior parte delle persone che nella
vita
non hanno altro, vanno in giro con i paraocchi. E il giorno che gli
manca
l'alpinismo si sentono finite. Credo che sia sempre meglio
diversificare
gli interessi".
Ma davvero
gli sponsor sono la rovina dell'alpinismo?
"Le
nostre affermazioni in dicembre sono state
manipolate dai giornali assumendo significati in cui non ci
riconosciamo.
Nella lettera di dimissioni non abbiamo espresso alcuna condanna nei
confronti
degli sponsor.
Vero è, piuttosto,
che hanno cercato di coprirci
di ridicolo enfatizzando il caso. Michele Serra sull'Unità ha parlato
del primo clamoroso caso di dimissioni anti-sponsor. Io sono diventata
la passionaria, la dissidente dei Ragni. Ci siamo limitati ad affermare
che eravamo stufi dei pretesti, della spettacolarizzazione
dell'alpinismo,
nella ricerca di un pubblico despecializzato. E tuttora siamo convinti
che il direttivo dei Ragni si stia preoccupando troppo della facciata,
di un alpinismo che fa clamore in modo effimero, lì per lì.
Per capirsi, quando Cassin fece la Walker negli anni trenta il problema
centrale dell'alpinismo erano le grandi nord, non certo il salire sul
Bianco
a misurare la pressione e la temperatura. La verità è che
il Gruppo Ragni giustifica l'indirizzo preso con la necessità di
reperire grandi cifre per grandi imprese".
Quanto vi è
stato riconosciuto in passato come
contributo alle vostre esperienze extraeuropee?
"Briciole".
Voi allora
che cosa proponete?
"Ci sono ancora tante
vie nuove da aprire qui a casa nostra,
nel Lecchese. Ma anche a livello extraeuropeo. Ma è un discorso
che non rende. Per anni hanno fatto finta di ascoltarci e poi ci hanno
messo da parte. Alla nostra spedizione in Groenlandia, nel '96, è
stato negato anche il patrocinio morale, oltre al contributo. Una cosa
forse non si sa. Noi avevamo già esposto per iscritto le nostre
ragioni al direttivo, tentando un colloquio risultato alla prova dei
fatti
impossibile. Una pubblica dichiarazione ci è sembrata a tal punto
l'unica soluzione per smuovere le acque".
Avete
duramente criticato anche gli obiettivi scientifici
della spedizione ad K2. Su quali basi?
"Non ho competenze
scientifiche. Ma forse per monitorare
i movimenti dei ghiacciai e della crosta terrestre, non c'è bisogno
di andare in cima ad una montagna. Anche la spesa è diversa se si
scelgono soluzioni più ovvie e normali. Se poi vogliamo parlare
di ricerche mediche, mi domando che differenza ci sia tra una camera
iperbarica
e una permanenza in tenda in condizioni estreme al Colle Sud
dell'Everest".
C'è però un
problema di avvicinamento
alla montagna della gente: che indubbiamente con queste esperienze ad
alta
quota viene più stimolata....
"Basta non
avvicinarla nel modo sbagliato, distorcendo
le immagini. L'himalaysmo non è soltanto andare a fare le misurazioni
sul K2, come la massa viceversa potrebbe credere".
Come vi
siete sentiti giudicati dai vostri concittadini
lecchesi?
"Dagli alpinisti
abbiamo avuto vari attestati di solidarietà.
La gente comune che queste cose non le sa ci giudica in qualche caso
dei
bambini capricciosi che hanno voluto sfidare un'istituzione cittadina.
C'è stata anche qualche minaccia di querele nei miei confronti per
le dichiarazioni che ho rilasciato al Corriere. Mi sembra assurdo che
se
la prendano con me, visto che ho parlato a nome di tutti gli otto
dimissionari.
A uscire allo scoperto è stata tra gli alpinisti noti solo Silvia
Metzeltin con un articolo sulla Rivista del C.A.I. Silvia scrive che
non
si tratta solo di una diatriba locale ma di un malessere più
generalizzato,
di una mancanza di linee di riferimento e così via. Certo, qualche
errore lo abbiamo commesso. Forse avremmo dovuto evitare ogni
riferimento
alla morte di Lorenzo Mazzoleni sul K2. Non era certo nostra intenzione
strumentalizzarla, mentre a farlo ci hanno pensato gli altri, la stampa
soprattutto".
E
all'interno dei Ragni che aria tira secondo te?
"Sembra
che molti concordino con le nostre tesi, anche se nessuno ha avuto il
coraggio
di seguire il nostro esempio dimettendosi. Comunque è stata costituita
una commissione per farci rientrare nei "binari" sotto la giuda di un
veterano,Vasco
Cocchi che già si destreggiò con un'analoga iniziativa ai
tempi della scissione dei Gamma".
Pensi che
sarebbe utile un pubblico dibattito?
"Sì, ma a patto che
sia allargato ad altri alpinisti
significativi. Non vogliamo andare allo sbaraglio, noi contro loro. E
poi
guarda. Di questa storia comincio ad essere stufa. Di una cosa sono
sicura.
Se non fosse per Paolo, non sarei neanche qui a parlarne".
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