Lo
Scarpone
- 6/97 - pag.15 e copertina Premio SAT del FILMFESTIVAL
di Trento 1997
PAOLO VITALI E SONJA BRAMBATI
ALPINISTI
DELL'ANNO
Con l'inseparabile Sonja ha vinto in "trasferta" il premio annuale
della SAT
Paolo Vitali
di cui vi proponiamo in queste pagine una
significativa testimonianza è il vincitore con Sonja Brambati della
prima edizione del Premio istituito dalla Società Alpinisti Tridentini.
La giuria presieduta da Bruno Parisi e composta da Annibale Salsa,
Leonardo
Bizzarro, Sergio Martini, Claudio Visintainer, Marco Benedetti e Bruno
Angelini ha assegnato a Paolo e Sonja (due degli otto Ragni di Lecco
che
si sono dimessi nel '96 per divergenze sul tema delle spedizioni e
degli
sponsor) il riconoscimento per la categoria alpinistica con la seguente
motivazione:"Per l'intensa attività di ricerca di vie di alta
difficoltà
in un ambiente estremo ed isolato come la parete est del
Qualido
nel Gruppo Masino-Bregaglia dove sono state applicate le tecniche
dell'arrampicata
moderna e per l'ampia attività alpinistica extraeuropea" .
Roberto
Serafin
RIDIAMO
IMPULSO ALLA CREATIVITA' E ALLA RICERCA DI
NUOVE FORME DI ALPINISMO
Quale
direzione sta prendendo l'alpinismo? A ogni cambio generazionale, e
ogni
qualvolta gli obiettivi alpinistici più evidenti del momento vanno
esaurendosi, comincia il tormentone sul suo decadimento, se non
addirittura
sulla sua agonia. E si moltiplicano gli anatemi contro le tendenze che
più si discostano dal solco della tradizione. Spesso infatti la
mentalità alpinistica dominante, nell'interpretazione che ne offre
il Club alpino (e non solo) non sa evolversi né cerca di recepire
le novità. Certi sproloqui o, peggio, l'indifferenza verso
l'alternativa
denotano la perdita di spinte da parte di chi si sente tagliato fuori
non
essendo riuscito a rinnovarsi. Con questa premessa, uno dei problemi
che
desidero valutare è la confusione di valori che si crea di fronte
a certe imprese considerate tali solo perché avvengono in territorio
extraeuropeo. Allo stesso tempo, le salite sulle Alpi vengono ormai
misconosciute
dai mezzi d'informazione di massa e spesso purtroppo dagli ambienti
alpinistici
locali. Sta di fatto che l'alpinismo e l'arrampicata, come ogni altra
attività
umana, subiscono una grande influenza dallo sviluppo dei mezzi di
comunicazione
e dalla maggior facilità di spostamento......Quando solo
pochi
decenni fa il viaggiare poneva grandi problemi logistici ed economici,
era giocoforza per gli alpinisti di punta dedicarsi agli obiettivi a
loro
più vicini, ai quali dedicavano il massimo di energie psicofisiche,
compiendo spesso imprese strabilianti. Storico è l'esempio di Cassin
alla Walker affrontata con l'unica documentazione di una cartolina
turistica.
Anche quando prese avvio l'avventura sulle montagne più alte, in
Himalaya e Karakorum, vi poté partecipare solo un élite spesso
composta dai migliori elementi del momento. In seguito, la diffusione
dei
jet ed una maggiore disponibilità di mezzi e materiali ha concretamente
avvicinato le montagne di tutto il mondo. Credo quindi che debbano
essere
rivisti molti parametri di valutazione e soprattutto bisogna tornare ad
apprezzare l'alpinismo sulle Alpi. Oggi fanno un po' sorridere certe
spedizioni
enfatizzate dalla stampa (despecializzata) o da certi ambienti
alpinistici
solo perché, per raggiungere l'obiettivo, bisogna salire su un aereo!
Con una valutazione più lucida, invece, molte di queste imprese
possono essere paragonate a salite alpine risolvibili nell'arco di un
week-end.
Questo senza nulla togliere ai viaggi effettuati per il gusto della
scoperta
o per allargare i propri orizzonti. Anche certe salite agli ottomila
metri
e dintorni spesso andrebbero ricondotte alla loro giusta misura. Esiste
indubbiamente una forte contraddizione quando da un lato si enfatizzano
certe montagne dove l'alta quota è sufficiente a giustificare notevoli
sforzi economici o un esagerato battage, mentre contemporaneamente le
stesse
salite vengono proposte nei viaggi organizzati creando una percezione
distorta
di eccessiva facilità con conseguenze spesso tragiche. Inoltre,
quando le cronache si riferiscono a imprese su montagne sopra i seimila
metri spesso omogeneizzano la tecnica adottata o la reale difficoltà
dell'itinerario senza distinguere se si tratta di una parte ad
altissima
quota o di una via normale disseminata di corde fisse e campi
intermedi,
risolta magari con qualche boccata di ossigeno. Vengono invece
pressoché
ignorate imprese alpinistiche di massimo livello, forse perché
difficilmente
vendibili al grande pubblico. Nel frattempo, la confusione viene
accresciuta
dai costi spropositati dei permessi per le montagne più alte del
mondo, che si sono ancora una volta allontanate per l'esosità dei
governi locali le cui gabelle sono insostenibili per la maggior parte
degli
alpinisti, ma non certo per i mercanti di permessi e per una certa
categoria
di organizzatori. In questo modo si è fortemente ristretta la libertà
di movimento dei singoli. Molti forti elementi sono quindi costretti a
sottostare a condizioni del tutto particolari per realizzare i propri
sogni,
a meno di non rinunciarvi per mantenere la propria identità. Pochi
hanno il coraggio di rischiare decine di milioni per un obiettivo
difficile
o aleatorio, anche se innovativo, preferendo un più probabile successo
su una salita conosciuta. La ricerca del nuovo in Himalaya e nel
Karakorum
riprenderà con più forza quando quelle montagne saranno di
nuovo libere? Nel frattempo il mio auspicio è che vengano fortemente
rivalutati l'alpinismo e l'arrampicata sulle Alpi, soprattutto fra gli
addetti ai lavori e le associazioni. E ciò per ridare impulso alla
creatività e alla ricerca di nuove forme di alpinismo. Paolo
Vitali