Qualche
fetta è già
stata tagliata. Il coltello sta entrando nel vivo del salame, ma la
grana
del macinato grasso dà qualche problema. Il salame è di quelli
che più genuini non si può, è fatto in casa e va trattato
con i guanti. Daniel
si trova a Colico,
l’ultimo paese in cima al lago che salomonicamente ha diviso i suoi due
rami tra Como e Lecco. Daniel è un tecnico del Soccorso Alpino ma
quella sera, l’importante è che sia anche un ottimo cuoco, perché
è a casa di amici per una cena in compagnia nella quale nessuno
si tirerà indietro; solo uomini, come a volte succede.
L’atmosfera
è di quelle
giuste, barzellette a non finire, antipasto scelto, vino buono e una
serie
di piatti tradizionali da concorso culinario. A rendere perfetta la
serata,
considerando che fuori fa un freddo cane, il fuoco acceso in un camino
grande da starci dritti in piedi. Un camino di quelli di un tempo, con
le panche ai lati. Daniel
è alle prese
proprio con il salame quando un pigolio lo blocca con il coltello a
metà
fetta. E’ il suo cercapersone, la scatoletta che deve portarsi dietro
per
essere reperibile 24 ore su 24 per eventuali chiamate di soccorso. Una
scatoletta più piccola di un pacchetto di sigarette, che però
- grazie alla speciale frequenza utilizzata – è in grado di ricevere
ovunque, anche negli angoli più sperduti delle montagne, una chiamata
radio. Più
che pigolare, il
cercapersone starnazza in modo vistoso e fa voltare l’intero gruppo
verso
Daniel. Silenzio. Tutti lì, in attesa del messaggio audio che verrà
e che puntualmente arriva: “Intervento in Segantini per mancato
rientro.
Richiamare il centro per informazioni dirette”. L’allegra serata di
Daniel
finisce qui, con la telefonata che gli conferma il reclutamento per
fronteggiare
l’emergenza sulla cresta della Grignetta. Sono le 21 in punto e, a
dirla
tutta, è un disastro. Lasciare la compagnia, il caldo del camino,
le barzellette, il vino e il salame, quel salame, per una nottata
fredda
e con vento…. proprio un disastro! Ma
così è e
così deve essere. Daniel lo spiega agli amici: - Capita spesso,
quelli finiti nei guai non ce l’avranno fatta ad arrivare in cima prima
di notte e saranno bloccati all’ultimo colletto prima del salto
difficile
a 50 metri dalla vetta. Da lì è possibile raggiungere in
traversata la cresta Cermenati senza grosse difficoltà. Ma bisogna
conoscerla, la scappatoia…” Daniel, con il dispiacere nel cuore e nello
stomaco, saluta velocemente e si mette in auto. Tempo mezz’ora, è
a casa. Si toglie i vestiti “della festa”, si mette quelli da montagna,
controlla il contenuto dello zaino, sostituisce la batteria alla
“frontale”
e ne prende una di scorta. Saluta con un bacio la moglie Lussy e
raccomanda
al figlio Fede di andare a letto presto e via, di nuovo. Lo aspetta la
Grigna. Arriva
alla “Base Resinelli”,
collocata in un locale di quella che un tempo era la sede della Pro
Loco.
Dalle indicazioni del Centro Operativo del Bione, appare chiaro che una
prima squadra dovrà salire velocemente in cima per controllare che
i ragazzi cercati siano, come avviene di solito, al colletto o al
bivacco
Ferrario. Sono
già pronti anche
Paolo ed Eolo, che ha quel soprannome perché è molto magro
e si dice che con il vento forte fatichi a non volar via. Sono due
forti
alpinisti, esperti soccorritori. Abitano
a Ballabio, e sono
stati i primi ad arrivare. Ecco
spuntare anche Beppe
e Marco, che - è deciso – saliranno successivamente con altre squadre,
quando la situazione si sarà chiarita. Daniel lascia a loro il
controllo
della “Base Radio” e parte con i due compagni. Salgono velocemente; non
hanno molto materiale tecnico appresso e contano, se sarà come spesso
capita, di risolvere il tutto in un paio d’ore. La strategia della
squadra
che fa da “lepre” è sempre quella che dà il miglior risultato. Durante
la salita Paolo ha
qualcosa da dire, dev’essere un po’ che ci rimugina su. Forse –
sostiene
- non è giusto che a una chiamata di soccorso si risponda sempre
mobilitandosi per portare aiuto. Cosa vuole dire? Lo spiega: vuole dire
che se un alpinista va in Segantini, fa tardi e bivacca, gli si
dovrebbe
lasciare la libertà di farlo senza correre a rompergli le balle
o, come si usa dire oggi, a violare la sua privacy. Paolo
è uno scalatore
molto forte ed è appena ritornato dalla Patagonia. Ha tutte le ragioni
di questo mondo, pensa Daniel. Ma
quando non si sa perché
qualcuno ha ritardato, quando i suoi parenti chiamano preoccupati, è
inevitabile che non si lasci nulla al caso: bisogna verificare che non
ci siano problemi… soprattutto in una notte come questa, tremendamente
fredda e nella quale a mancare all’appello è una cordata di due
persone. Più
i tre salgono,
più il vento aumenta. All’altezza dell’uscita del canale Caimi,
Daniel informa via radio il centro della situazione meteo: se le
condizioni
restano queste, dice, si dovrà fare il possibile per ritrovare i
due alla svelta. In una notte con raffiche così forti e gelide non
riuscirebbe a passarla liscia nemmeno Rambo, se non fosse adeguatamente
attrezzato. In
successione altre squadre
partono dalla “Base Resinelli”: una verso la direttissima, una diretta
al rifugio Rosalba, un’altra al rifugio Porta e un’altra ancora verso
la
cresta Sinigallia. Questa
è la prima “battuta”;
durerà certamente dalle tre alle quattro ore e se non darà
risultato sarà seguita all’alba da una nuova ricerca con mezzi aerei…
anche se le condizioni meteo sono pazzesche e non è detto che
consentiranno
il volo. Daniel,
Eolo e Paolo raggiungono
la spalla della cresta Cermenati. Faticano
a mantenersi in piedi
per la violenza delle raffiche… soprattutto Eolo, naturalmente.
“Tormenta
secca”, si chiama così. Una situazione nella quale diventa problematico
già il sentirsi, urlando, a pochi metri di distanza l’uno dall’altro.
I tre comunicano con frequenza al Centro del Bione la loro posizione
anche
per consentire la corretta registrazione del movimento delle squadre
sulla
montagna. Raggiungono
la spalla finale
e, cento metri prima della cima, si spostano sulle placche ghiacciate
verso
la “scappatoia” della Segantini. Informano la base di Lecco che
procederanno
in cordata verso il colletto per verificare la presenza dei due
dispersi. Daniel
infila le sue due piccozze
nella neve dura e comincia a traversare lentamente verso il colletto;
il
pendio è ripido e l’oscurità rende ancora più tetra
e delicata la manovra. Daniel si ferma a metà, recupera Paolo che
va avanti per un’altra trentina di metri sino al colletto. Il vento è
infernale, il frastuono assordante, e non c’è alcuna possibilità
di comunicare se non a strattoni precisi della corda. I due conoscono a
memoria la zona. E, per quanto possa sembrare incredibile, si sono
mossi
tenendo quasi sempre gli occhi chiusi per evitare che la neve e i
microscopici
ghiaccioli spazzati dal vento li ferissero. Si danno ancora il cambio
in
testa alla cordata, i fasci delle lampade frontali si incrociano e
illuminano
barbe ghiacciate. I
dispersi lì non ci
sono e non è possibile tentare una discesa nel canale opposto. Daniel
e Paolo vorrebbero scendere forzando il canale Nord per entrare, con
una
delicata scalata, in una cengia orizzontale che conduce alla Lingua,
una
lama di roccia che fa da raccordo con una rampa che sale in cresta. Tentano
di farlo, ma si accorgono
che adesso a volare in aria sono lastre di ghiaccio molto grandi, che
potrebbero
colpirli e lasciare il segno. Decidono allora di rientrare al colletto
e tornano da Eolo, sperando solo che… non sia volato via con qualche
raffica
più forte. Lo trovano dove l’hanno lasciato, ancora mugugnante e
indaffarato a sistemare le corde e il restante materiale ormai
completamente
ghiacciato. Barcollando
nella bufera,
i tre salgono a fatica verso la cima che si trova a poche decine di
metri;
la raggiungono e attraversano con grande difficoltà la crestina
di collegamento che porta al Bivacco Ferrario. Non c’è alcun dubbio…
i ragazzi che stanno cercando devono proprio essere lì, al sicuro
e al coperto. Avranno raggiunto la cima tardi ed il fortissimo vento li
avrà indotti a fermarsi. Hanno certamente scelto l’opzione migliore. Daniel
raggiunge la porta
del bivacco, la apre, caccia dentro la testa e con la luce della
frontale
esplora l’interno…. Nessuno, non c’è nessuno. La delusione è
grande. Entrano tutti e tre, si scuotono la neve da dosso, puliscono
gli
scarponi, scopano la neve per terra e la gettano all’esterno per
mantenere
asciutto il pavimento… non si sa mai. Sanno che per quella notte il
“Ferrario”
diventerà inevitabilmente la loro dimora. All’interno
dell’igloo in
alluminio il fragore del vento è solo parzialmente attenuato ma
almeno ci si può parlare senza urlare. I
tre chiamano via radio la
base di Lecco e confermano che non c’è traccia dei ragazzi dispersi.
Lo sconforto viaggia via etere e nemmeno dal caldo centro radio del
Bione
arrivano messaggi confortanti. Anche Manu e Marchino, altri due
soccorritori,
in condizioni molto difficili stanno raggiungendo il bivacco dal
“Saltino
del Gatto” e nonostante siano già in alto non hanno ancora visto
nessuno. L’angoscia
di aver rinunciato
a forzare la ricerca giù nel canale, verso la Lingua, non lascia
tranquilla la prima squadra. Daniel
si sente responsabile
della decisione e dice a Paolo e a Eolo che, se calasse un po’ il vento
durante la notte, vorrebbe provare di nuovo. La risposta dei due è
esattamente quella che si aspettava: - Piuttosto che mangiare freddo
qui
dentro, meglio farlo nella neve, fuori, almeno si tenta qualche cosa di
buono e magari ci si scalda anche un po’-. Di
sacchi piuma, nemmeno l’ombra.
L’intervento del resto doveva essere un “touch and go” (riva, ciapa
en’van)
- cioè un “arriva, prendi e vai”- e una notte da trascorrere in
montagna non era nemmeno fra le ipotesi più lontane. Bisogna cavarsela
infilandosi addosso tutto quel che c’è e bisogna anche rinunciare
al tè nelle borracce perché è completamente gelato. Arrivano
Manu e Marchino dalla
cresta Sinigallia. Sembrano fantasmi tanto sono bianchi e ghiacciati…
ma
è una gran festa. Anche la seconda squadra entra nel bivacco e lì
dentro ci si aiuta a vicenda, si puliscono gli scarponi e le ghette
dalla
neve, si cerca di tenere asciutto il pavimento. Poi è proprio lì,
sul pavimento, che i cinque si stendono. Sono
uno vicino all’altro
per riscaldarsi a vicenda. Manu, che era compagno di cordata di Paolo
in
Patagonia, ha una di quelle uscite che anche in una notte così,
percorsa da inquietudini, strappano uno sghignazzo. Alza la testa e con
la frontale guarda l’amico e gli dice: - va a da via el cuu Paul, un
mees
fà sérem gió in Patagonia a majà frècc,
adèss sèm in Grigna… e màjem püsee frècc
amò. – Proprio così: un mese fa erano in spedizione all’altro
capo del mondo alle prese con il freddo e adesso che sono sulla
montagna
di casa si trovano in una situazione persino peggiore. Sono le tre di
notte,
nessuno dorme o si appisola. Fuori, il vento fortissimo ha lasciato
posto
a una sorta di tornado che solleva e fa sbattere blocchi di ghiaccio
contro
il bivacco, con un rumore assordante. Durante
la notte, nella furibonda
tormenta che non cesserà un momento di far sentire la sua forza,
i ragazzi si alzeranno a turno per controllare la situazione, sperando
in qualche miglioramento. Il
freddo, sapranno poi, ai
Piani Resinelli ha fatto precipitare la colonnina di mercurio sino a
-10°.
Nel bivacco Ferrario la temperatura è inferiore di almeno sette
o otto gradi. E tutto questo significa che là fuori, se lo si
verificasse,
si misurerebbero i meno 20° o i meno 25°. Una situazione da
congelamento,
da ipotermia letale, per chi stesse affrontando un bivacco all’aperto
senza
attrezzatura salvavita, da alta montagna. E’
ancora Manu, il più
giovane del gruppo, a farsi sentire: …”Paolo, dòrmet? – nò!
– Paolo, gh’heet un para de guânt a palèta che te vanza? –
sé! – m’i prèstet? – sé: seet de fann! –
va a da via el cuu! Gh’hoo
frècc i pè! E i a mèti soeui pè! (Paolo dormi?
– no! – Paolo hai le muffole a paletta? – si! – me le presti? – si,
cosa
ne devi fare? – vai a farti fottere… ho freddo ai piedi ed infilerò
i tuoi guanti per le mani sui miei piedi). E’
una notte così.
Una notte in cui in quel bivacco alcuni dei migliori alpinisti italiani
vedono messa a dura prova la loro resistenza. Il vento è ancora
molto forte quando ai primi chiarori dell’alba i cinque sono già
in piedi, imbracati e legati in cordata. Dal Centro Operativo di Lecco
viene loro segnalata la partenza di una squadra con barella, viveri e
bevande
calde. Luìs, il medico che ha atteso tutta notte nella base ai Piani
Resinelli, fa parte di questa terza squadra che salirà verso la
cima. Potrà essere in zona non più tardi delle 8, forse delle
8 e mezza. Quanto all’Elisoccorso Medico, è allertato dalla sera
precedente, ma attende che il vento cali; decollare con queste
condizioni
sarebbe troppo pericoloso. Daniel
guida il suo gruppo,
che lascia con grande sollievo il bivacco; l’azione mette sempre di
buon
umore i ragazzi. Le raffiche sono ancora forti, ma con la luce, se non
altro, potrà esserci un approccio più controllato e con meno
incognite ai problemi da risolvere. I cinque scendono ancora alla
breccia
della Segantini e cominciano a calarsi nel canale. La neve è a tratti
ghiacciata e in altri tratti è farinosissima, perché il vento
ha creato straordinari accumuli. La
calata dei soccorritori
prosegue per un centinaio di metri, fino all’altezza della cengia che
porta
all’interno della cresta. Nella
Val Scarettone, verso
la Bocchetta di Giardino, si vedono lastre di ghiaccio che volano in
aria
come deltaplani. Del gruppetto, il più vecchio è Daniel,
che tira fuori dal suo bagaglio tecnico tutta l’esperienza disponibile
e tutti i trucchi del mestiere. Si muove velocemente, teme che la
forzata
immobilità notturna della sua squadra possa condizionare l’esito
dell’operazione. Dopo
tutto quel vano girovagare
in Grigna, sembra esserci solo un’ultima possibilità: che i due
dispersi si trovino sul pendio nevoso della Lingua. La luce ha ormai
preso
il posto del buio e i “passaggi” vengono riconosciuti con più facilità.
Mentre Daniel apre la via, Paolo e gli altri si preoccupano di fissare
le corde per garantire un ritorno più semplice. La
prima cordata raggiunge
la sommità della Lingua e si appresta alla discesa verso il traversino;
la bufera sembra meno violenta di quanto non fosse in cresta. Daniel
cala
Paolo nella neve soffiata dal vento e dopo circa una trentina di metri
dà l’ok agitando il pugno con il pollice alzato. L’amico mostra
di aver capito, facendo un cenno, ma lascia il canale e si porta
all’intaglio
della cresta: deve aver visto qualcosa. Daniel
si fa calare da Eolo
e, superato un saltino verticale, vede due alpinisti fermi al colletto
sopra il passaggio della Lingua: sono i dispersi. Paolo è poco lontano
e sta ripulendo dalla neve il tratto di parete che porta all’intaglio
dove
si trova la cordata. Trovati,
finalmente. Trovati.
E’ un momento di gioia difficile da raccontare; per i soccorritori è
un momento che dà senso a quanto fatto prima. Daniel chiama
immediatamente
il Centro del Bione, dà la notizia e aggiunge che a breve fornirà
altre informazioni. Gli rispondono che Luìs, il medico, dovrebbe
già essere in calata e presto sarà sul posto. Paolo
raggiunge l’intaglio,
Daniel gli è a ruota. Si avvicinano ai ragazzi. Uno è incolume,
l’altro invece dice di essere “volato” la sera prima per una decina di
metri e di avere una frattura a una gamba. I due però sono
attrezzatissimi,
hanno un abbigliamento di prim’ordine; devono solo a questo se sono
riusciti
a superare la tremenda notte all’addiaccio. Eolo
è rimasto al punto
di manovra sommitale, incaricato di calare Manu, Marchino e Luìs,
che è appena arrivato. Il medico raggiunge Giorgio, il ragazzo ferito.
Lo valuta dalla testa ai piedi e, verificata la sua buona condizione
generale,
taglia il pantalone della gamba destra e controlla: frattura scomposta
di tibia e perone. Il freddo per fortuna ha attenuato il dolore e la
febbre
e ciò permette a Luìs di immobilizzare velocemente l’arto
con una “ferula” a depressione. Poi,
per prudenza, al ferito
viene bloccata la colonna vertebrale con uno speciale corsetto. Il
vento, in questo angolo
più riparato, è meno forte. Manu fa bere un buon tè
caldo a Giorgio e poi a Claudio, il suo amico incolume che Marchino si
incarica di accompagnare in cresta. Nel frattempo arrivano altri
soccorritori
che provvedono alla preparazione di un terrazzino nella parete di
ghiaccio.
Servirà a collocare la barella in orizzontale così che Giorgio
possa esservi posato con delicatezza. Gli
ancoraggi sono installati.
Daniel e Paolo hanno piazzato quattro bei chiodi sulle pareti laterali
del camino e sono pronti alla calata. Giorgio, stretto nel materassino
a depressione, resterà immobilizzato, al sicuro e al caldo - sotto
un sacco piuma e un telo astronautico rifrangente. – Nella
barella assicurata con
le corde è come un burattino legato a fili manovrati da mani esperte.
Paolo, Manu, Bricky e altri volontari più staccati, sotto la
supervisione
di Eolo, cominciano a issare. Giorgio, assistito da Luìs, affronta
la sua lenta risalita verso la salvezza. Daniel
è ancora in
basso. Dà un’occhiata finale all’intaglio della roccia, controlla
che non sia stato dimenticato nulla, raccoglie le attrezzature usate e
riparte veloce, con lo zaino pieno di sacchi, sacchetti, chiodi e corde
varie. Raggiunge Eolo che ha appena svincolato la barella, un modello
toboga
che scivola verso la cengia sulla traccia battuta in precedenza. Tutto
procede meravigliosamente
bene. Eppure Luìs è preoccupato per il ferito: chiede che
all’altezza del canale ci si fermi un momento. Proprio ora che è
al sicuro, Giorgio sta male; il calore del bozzolo nel quale è avvolto
gli ha rimesso in moto la circolazione e la sua sofferenza è aumentata
in modo quasi insopportabile. Il medico non sa se sia già il momento
di intervenire con qualche sedativo pesante. Chiede a Giorgio di
stringere
i denti, gli spiega che tra pochi minuti sarà sulla cresta Cermenati
e poi con l’elicottero verrà trasportato verso l’ospedale. I
ragazzi, ostacolati dal
vento che è tornato a soffiare impetuoso, stanno recuperando la
barella con tutta la grinta di cui sono in possesso. Mancano pochi
metri
al colletto dopodiché, con una breve traversata, torneranno appunto
sulla Cermenati e da lì con una veloce calata saranno alla piazzola
dove si avvicinerà l’Elisoccorso. Sono le 13. Il tempo scorre a
una velocità pazzesca ed è veramente difficile quantificare
il lavoro svolto in quelle condizioni così difficili. Difficili
e pericolose, come verifica sulla sua pelle Calumer, un altro dei
soccorritori,
che nella fretta di partire ha dimenticato a casa il casco e che alla
fine
s’è preso in testa uno dei blocchi volanti di ghiaccio, rimediando
una profonda ferita. L’Elisoccorso
Medico di Como
è già in volo da diverso tempo e attende che la barella arrivi
nel punto di atterraggio. Ci
arriva. L’elicottero si
avvicina lentamente e poggia un pattino a terra: Luìs sale per primo
poi con mille cautele viene infilato sul pianale il ferito. Si imbarca
anche Calumer che avrà bisogno di una decina di punti di sutura.
E poi via, il tuffo vertiginoso verso Lecco. Daniel
esce sulla calda cresta
Cermenati e scende verso la piazzola. E’ molto stanco, ma
straordinariamente
soddisfatto. I
ragazzi hanno risposto come
meglio non avrebbero potuto e il risultato dei loro sforzi, delle loro
sofferenze, è chiuso dentro quell’elicottero: è Giorgio che
sta tornando in mezzo agli uomini. Daniel
raggiunge la piazzola
d’atterraggio e vede Manu, Marchino, Eolo e Paolo sdraiati in fila, uno
accanto all’altro, su un lenzuolo di roccia al tepore del sole.
“Sembrano
secchi come dei baccalà”, pensa sorridendo. “Secchi”, sì:
stanchi, stravolti, svuotati dalla fatica e dalla tensione. Manu e
Paolo
dormono, anzi russano. Anche Daniel ora si stende accanto ai compagni e
in un attimo si aggiunge al concerto. Adesso
che non c’è
più bisogno di loro, possono russare all’infinito. Tanto
la Grigna non protesterà.